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martedì 1 maggio 2018

Sostieni quel papà in fila a un concerto rap?

Forse stiamo sbagliando tutto. O forse sono queste incertezze che stanno rovinando tutto. O forse ancora, è colpa di questo ottimismo che mi trascino dai tempi in cui ero bambino: è forse il vero responsabile di ogni mio tormento del mattino dopo. Ieri sera abbiamo ascoltato sedicenni che rappavano in un locale, e questo evento lo ha creato Lorenzo. A lui piace stare dietro le quinte, dietro quelle strofe dense di rabbia e riscatto, dove per alcuni istanti si celebra l’Esserci: forti e sfrontati, col dolce tono di chi ha cambiato voce l'altroieri.
In fila, distanziando il pubblico giovane, stavo accanto a un papà di un rapper che si sarebbe esibito da lì a poco. Quando mi capita di parlare con papà che condividono le stesse passioni dei miei figli, ma rispetto al basket qui ci sono in gioco trame di tormenti e attese di rime che possano disvelare un qualche messaggio che altrimenti resterebbe appiccicato alle pareti delle nostre solitudini dei sabato sera. Insomma quando vedo l'impaccio tenero di certi papà come me, mi sento di respirare si la stessa aria inquinata di Roma, ma  in quei momenti è come se arrivasse un ponentino direttamente dagli anni '50. Ci somigliamo nel nostro stare in allerta, e con quell ottimismo crudo che non si tratti di “una fase”, o “poi passerà”, no, qui stiamo sulla soglia della vita adulta dei nostri figli, e noi un tappetino antiscivolo per i loro temporali lo abbiamo sempre pronto. Eppure, loro già si muovono in un mondo che è anche nostro, ma noi ci ostiniamo a pensare che invece non è così, poiché loro sono ancora legati ai nostri pensieri, al nostro uscio sicuro e al nostro amore quotidiano. I nostri figli hanno la testa fuori dalla nostra casa, quella che li ha sempre accolti come naufraghi, ma dispersi in laghetti di quartiere eh, eppure ci ostiniamo a negargli la conoscenza di alcune parole: residuali misteri di parole per soli adulti. Ma io ho smesso di fare così, e in questi mesi ho rivelato al grande quasi tutto quello che mi opprimeva, così come ho cavato fuori dalla mia testa anche le cose belle che ho fatto e che vorrei fare. Ho smesso di fare il padre dietro le quinte, su il sipario, ché noi si vive così in questo tempo incerto e sconfinato.




Da padre concedetemi parole con accenni epici, con significati profondissimi, con quel mio presunto scandagliare i nostri abissi. Noi padri così abbiamo bisogno di barchette colorate con nomi di donna per attraversare il laghetto vulcanico entro cui nuotano i nostri figli belli.
Perdonateci, sosteneteci, salutateci soprattutto quando stiamo in fila per una serata rap.


1 commento:

Unknown ha detto...

Ho capito perché hai visto Brunori Sas dallo smartphone. E hai fatto bene. Cristina.