Pagine

domenica 27 maggio 2018

Scritto col lavabo in faccia.

Oggi è il compleanno di Jacopo. Ho scritto anche di lui in questo blog. Dal 2011 scrivo qui. È un diario, o un quaderno delle mie velleità aperto, talvolta pure inviato furbescamente, da far leggere alle persone curiose di leggermi? Non lo so. Sicuramente qualcuno l'avrà fatto per piacere.
Ho deciso di rinunciare anch'io a qualche pezzo di me sociale, in cambio di uno scrivere autentico di me privato.
Comincio dal dichiarare che una piccola casa editrice mi ha tenuto per circa due mesi in sospeso per la pubblicazione di alcuni miei racconti. Hanno fatto quasi tutto loro, a parte scrivere quei racconti belli, intensi e frutto di lotte interiori con i miei fantasmi: storia di follie famigliari, e con la paura di non compiere il mio intento di scriverci su delle storie.
Ci sono andato vicino, poi l'editor è andato via e quelli che sono rimasti hanno cambiato linea. Bah. Di fatto l'avevo detto ai figli, e ora come la mettiamo?
Direi di scriverci su una storiella di come si sono comportati con me questi della piccola casa editrice, anche solo racvontando le mail e i due incontri avuti direttamente con loro.
Siete pronti?
Fatemi sapere. Altrimenti cosa la scrivo a fare?

sabato 19 maggio 2018

ecco cosa mi sta accadendo

  Ecco ora che sta accadendo. Io ascolto un mix su you tube, e c’è Vasco Brondi che canta “all’estero…”, il figlio piccolo è di sotto a combattere con la matematica e con lo spettro della sua insegnante ingombrante. Ho appena osservato dalla finestra mia moglie, accompagnata dal figlio grande, che riempivano la macchina di panni usati, da portare al mercatino. Erano mesi che non li vedevo insieme così sereni. Ah, in verità ora sto cercando di scrivere di questi ultimi mesi per niente sereni, ma pieni pieni di fatti che prima o poi dovrò raccontare. Non riuscivo a farlo bene in questi mesi, quindi spesso ci ho rinunciato. Invece preferivo leggere cose tipo In esilio, Nati due volte, Nel nome del figlio, o pezzi su Basaglia, su Don Milani. In realtà preferisco scrivere struggenti quanto inutilmente liriche cose sui social. Non riesco a concentrarmi, a essere asciutto, a raccontare a un amico quello che sto passando veramente. Non è vero, ma qui mi piace camuffare la realtà, poiché ne ho parlato con alcuni amci e amiche del mio disastro che preannuncia un riscatto, sì, ché così mi piace esprimermi per incoraggiare la mia famiglia, quando, davanti a urla, pianti e porte sbattute pareva che stessimo scoppiando come quelle mongolfiere minuscole nei cieli americani. Preferisco uscire di più coi miei figli, e starmene lì ad ascoltare la loro musica in auto lungo le luminose strade di Roma; o vederli di spalle mentre sono in fila dal kebabbaro, oppure poco prima che cominci la lezione di musica, oppure ancora mentre si scatenano a furia di canestri durante gli allenamenti. No, in partita l’allenatore al grande non lo faceva giocare, per poi dire in allenamento che lui, il grande, gioca per la squadra, ma in allenamento non mi pare, spiffero nell’unico accenno di polemica in otto anni di mia frequentazione della palestra. Forse ci piace dare il meglio negli allenamenti? dietro le quinte, dietro una tastiera? Forse, e gli altri lo capiscono? Non credo che lo facciano, siamo numeretti, così come ci ha fatto capire l’insegnante che ieri non ci ha accolti, respingendoici con parole che puzzavano di burocrazia, facendo intendere che sarebbe stato meglio che il grande non si fosse trasferito da loro l’anno prossimo. No, nella mia gamma di patologie mancano le manie di persecuzione e questa insegnante con lunghi capelli bianchi, e nello sguardo cinque ore di battagie con gli adolescenti, con noi ha avuto un atteggiamento pessimo, costringendomi a perpetuare nei miei pensieri un’idea di scuola lontana anni luce dagli studenti: non gli ha chiesto neppure una cosa a lui, al grande, coi suoi sedici anni di insicurezze che gli uscivano dagli occhi. Ora quello che conta è che ci ascoltiamo di più, e che ridiamo meno istericamente nei venerdì sera euforici post settimane faticose. No, ora ridiamo di gusto, lavoriamo con più determinazione e andiamo a scuola grintosi, a parte il grande, che sta riprendendosi da anni di incertezze. La sua scuola in questo periodo sono gli incontri con il professore A., l'ascolto di canzoni, vedere i pezzi sul bullismio su Nemo, e anche le presentazioni dei libri a cui gli chiedo di partecipare, sempre con agganci musicali o per incontrare personaggi che piacciono anche a lui: Zoro, Gipi, Virzì, Lenzi, Brunori, ecc. il mio pantheon che sfiora e accarezza un po’ anche lui, col suo sguardo che si presenta prima torvo, ma poi si scioglie in sorrisi primordiali di felicità mai dimenticate. Io non ho mai amato così bene la mia famiglia, ora lo so, perché l’ho verificato col mio sensore emotivo. Un giorno lo spiegherò meglio, ora ho fretta di andare a preparare gli spaghetti alle vongole, di organizzare la notte ai musei, di incoraggiare ognuno di loro a non sperperare il tempo prezioso che ci rimane da vivere insieme, prima di deviare, ognuno per conto suo, verso luoghi e volti che ameremo e capiremo solo noi, pur con la voglia di farne assaporare il piacere anche agli altri che continueremo ad amare, a raccontare, su quei nuovi divani morbidi, dove assumeremo ognuno in un soggiorno diverso, la stessa ottusa e commovente posizione che abbiamo avuto sin dall’infanzia. Io cercherò di farlo senza ansia, ah non ve l’ho detto? Non sono più malato di ansia, mi è passata, ora sono malato di pazienza: aspetto che si faccia giorno, che si faccia qualcosa insieme, che si prenda coraggio e si esca dalle nostre vecchie vite anguste. Voi che fate stasera?


foto rappresentativa non trovata

martedì 1 maggio 2018

Sostieni quel papà in fila a un concerto rap?

Forse stiamo sbagliando tutto. O forse sono queste incertezze che stanno rovinando tutto. O forse ancora, è colpa di questo ottimismo che mi trascino dai tempi in cui ero bambino: è forse il vero responsabile di ogni mio tormento del mattino dopo. Ieri sera abbiamo ascoltato sedicenni che rappavano in un locale, e questo evento lo ha creato Lorenzo. A lui piace stare dietro le quinte, dietro quelle strofe dense di rabbia e riscatto, dove per alcuni istanti si celebra l’Esserci: forti e sfrontati, col dolce tono di chi ha cambiato voce l'altroieri.
In fila, distanziando il pubblico giovane, stavo accanto a un papà di un rapper che si sarebbe esibito da lì a poco. Quando mi capita di parlare con papà che condividono le stesse passioni dei miei figli, ma rispetto al basket qui ci sono in gioco trame di tormenti e attese di rime che possano disvelare un qualche messaggio che altrimenti resterebbe appiccicato alle pareti delle nostre solitudini dei sabato sera. Insomma quando vedo l'impaccio tenero di certi papà come me, mi sento di respirare si la stessa aria inquinata di Roma, ma  in quei momenti è come se arrivasse un ponentino direttamente dagli anni '50. Ci somigliamo nel nostro stare in allerta, e con quell ottimismo crudo che non si tratti di “una fase”, o “poi passerà”, no, qui stiamo sulla soglia della vita adulta dei nostri figli, e noi un tappetino antiscivolo per i loro temporali lo abbiamo sempre pronto. Eppure, loro già si muovono in un mondo che è anche nostro, ma noi ci ostiniamo a pensare che invece non è così, poiché loro sono ancora legati ai nostri pensieri, al nostro uscio sicuro e al nostro amore quotidiano. I nostri figli hanno la testa fuori dalla nostra casa, quella che li ha sempre accolti come naufraghi, ma dispersi in laghetti di quartiere eh, eppure ci ostiniamo a negargli la conoscenza di alcune parole: residuali misteri di parole per soli adulti. Ma io ho smesso di fare così, e in questi mesi ho rivelato al grande quasi tutto quello che mi opprimeva, così come ho cavato fuori dalla mia testa anche le cose belle che ho fatto e che vorrei fare. Ho smesso di fare il padre dietro le quinte, su il sipario, ché noi si vive così in questo tempo incerto e sconfinato.




Da padre concedetemi parole con accenni epici, con significati profondissimi, con quel mio presunto scandagliare i nostri abissi. Noi padri così abbiamo bisogno di barchette colorate con nomi di donna per attraversare il laghetto vulcanico entro cui nuotano i nostri figli belli.
Perdonateci, sosteneteci, salutateci soprattutto quando stiamo in fila per una serata rap.