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sabato 17 marzo 2018

Degli adolescenti non sappiamo niente

 Quando lavoravo al Telefono Azzurro arrivò un bimbo che era nato appena cinque giorni prima di te. Avevi cinque mesi e una volta o due alla settimana io facevo il turno di notte lì al lavoro. Questo bimbo mi cercava sempre, era in affidamento con la sorellina da noi, la madre ogni veniva a trovarlo con il suo carico di disperazione sulle spalle. A me rispondeva con larghi sorrisi quando gli porgevo il biberon pieno di latte e biscotti. Poi tornavo a casa e c’eri tu, già sfamato che aspettavi sorrisi, e sguardi sicuri. Mentre mamma andava al lavoro e ti baciava sulla guancia cicciottella. Erano anni belli e spietati per noi. Era il 2001. In questi mesi per un altro lavoro seguo un ragazzo che sta lasciando la scuola, per una serie di disastri emotivi che lo assediano laggiù a Bastogi. Anche lui ascolta rap per scacciare un suo presente fetente. Anche tu mi dici che a scuola ti senti fuori luogo, che la trovi inutile e che pensi ci sia un altro modo di imparare. Allora io scappo in bagno a piangere con la disperazione che sale in gola. Forse sento di non averti sostenuto abbastanza quando certi professori scambiavano la tua insicurezza per arroganza, o la tua viva sensibilità in timidezza o semplice bontà. Così mi capita che dentro al bagno mi spavento e me ne resto tutto il tempo a fissare la finestra smerigliata, mentre tu nel frattempo al piano di sotto fai rimbalzare la palletta di basket sul laminato anticato, prima della schiacciata.
Il mio lavoro è un insieme di aiuto-ascolto-sostegno, e il mio essere padre si è indebolito proprio da quelle parti là della mente. Stava diventando un pantano la nostra relazione, eppure io ci scorgevo sempre un fiorellino, una cartaccia colorata che galleggiava. Quando mi dici: ma per chi mi hai preso? dopo che anticipo con parole sdentate certe tue risposte, ecco, figlio, in quella tua domanda affoga il mio fallimento, mentre riemerge piano piano la tua voglia di esserci. Sarei disposto ad accettare questo mio fallimento fradicio in cambio di un tuo allontanamento drastico da me? solo per vederti sano e salvo? Ma perché tutto questo dilianarsi in tempo di pace?
  In questi giorni di parole spese vanamente per convincere il ragazzo di Bastogi a continuare con la scuola, sì, proprio in questi giorni mi sono arreso al tuo non volerci andare più a scuola. Hai deciso di recuperare le forze a furia di canzoni e concerti. Questo tuo sbloccarti all’incontrario mi preoccupa, anche se pare illumini un po’ meglio I tuoi occhi, la tua cameretta, le tue parole profumate. Io ti sto sempre accanto, e osservo ogni tuo mutevole battito di ciglia, ogni tuo nuovo largo sorriso a tavola, e ascolto rilassato ogni tua battuta insperata che mi diverte e mi fa pensare che non sono ancora da buttare come padre, come ascoltatore. Sono anche un padre da abbracciare in una notte di pianti violenti, in auto, sotto ai carpini spogli, poco prima di mangiare quei cornetti buonissimi al bar sempre aperto.
 Quella saggia persona che ti sta aiutando sta aiutando anche noi, e lo capisco quando a tavola ridiamo e parliamo come non facevamo da mesi. Mentre penso a questo nostro periodo scombinato dentro qualcosa ancora trema, eppure quando sto tra di voi rido senza più quel vecchio isterismo che in passato rovinava quei momenti, e faceva sbattere porte, occhi e bicchieri sopra le nostre parole. Sto imparando a trattenermi, a tirare fuori solo quello che vale la pena esibire, quindi, scrollandomi di dosso la falsa modestia, racconto anche i miei piccoli grandi successi: lo sai che sono tra i vincitori di un piccolo premio letterario? Sapete che oggi ho calmato un bimbo indiavolato, e gli ho fatto tornare il sorriso a furia di giocare coi trenini? Vedeste che sorrisi mi ha fatto dopo. Farò così, condividerò mille altre cose belle con voi. Purtroppo in questi anni ho condiviso con voi troppe frustrazioni lavorative, antiche tristezze famigliari, anche se a volte cercavo di bilanciare con un umorismo asfissiante. Strano, ma in questa fase della mia vita mi sento forte, e benedico la mia tenacia di non aver ceduto lungo le strade degli amati perdenti, dove mi ero perso anch’io, sì, ma senza disperdere del tutto l’amore per la mia storia. Oggi ho messo la camicia amaranto, ché devo farmi trovare pronto e bello quando avrete bisogno della mia forza, del mio splendore: sto mettendo da parte il meglio per voi.
 Oggi tuo fratello ci ha detto che a lui piacciono le persone speciali e un po’ sfigate. Lo diceva mentre si pensava a come impostare il tema su Wonder, e allora ci siamo ricordati di quel suo compagno autistico che lo salutò con un affetto smisurato al boowling, incontrato lì per caso un sabato pomeriggio. Oggi quando gli ho detto di seguire quel ragazzino col tumore che vuole diventare youtuber, oltre a seguirlo immediatamente, nella sua faccia è comparso quello sguardo un po’ da santo che ha fatto gravitate i suoi occhi enormi intorno al suo letto a soppalco. Lo stesso sguardo che avevo io alla sua età, quando me ne stavo stretto stretto nelle coperte.
 Figli miei arrendiamoci ad essere così, un po’ fuori luogo ma sempre affamati di voler conoscere persone strambe, persone che ci somigliano nei sentimenti e che magari allo stesso tempo possono sembrarci anche diversissime da noi. Cerchiamo di capire gli altri ascoltandoli fino a notte fonda, o assecondarli nei loro tormenti per poi abbracciarli senza stringerli troppo: amarli anche quando ci voltano le spalle o non capiscono fino in fondo i nostri drammi. Diamogli tempo, e diamoci tempo anche noi, in questi tempi incerti e magri di sogni. Seppelliamo una volta per tutte le asce e i rancori sotto al nostro generoso e splendido melograno. E ridiamo con tutti i denti di fuori.



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