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sabato 29 marzo 2014

quanto è bello questo ragazzo che scrive per me

Guardatelo quanto è bello questo ragazzo che scrive per me, instancabile, dentro questo verde blog. Sì, lui mi comanda spingendo le mie parole verso un vuoto magico. Tra quelli che sono arrivati a questa terza riga, chiedo, sul serio, se sanno di cosa sto vaneggiando, se un po’ almeno lo immaginano. 



       Lavoravo in una casa famiglia per minori del Tetto azzurro, impaziente di scapparne il prima possibile. Come prima di entrare in turno il sabato sera, percorrendo viale Regina Margherita con le macchine festanti che sfioravano la mia angoscia, in quei momenti mi compariva l’immagine di mia moglie con nostro figlio appena nato nella culla, a casa, a trenta minuti di distanza da me, allora, per evitare il crollo psichico, quasi mi abbracciavo il semaforo rosso pieno di adesivi svuoto-cantine. Ma in quel posto c’era anche una cosa più pesante da sopportare; un educatore sardo-milanese, comunista, di quelli che frequentano nicchie di eletti e vogliono convincerti, sussurrandotelo durante il turno notturno, di come arrivare al potere senza spargimento di sangue.
      Infatti.
      Ci fu una riunione urgente convocata dai capi, dopo una nostra (scritta da me) dura lettera sindacale indirizzata alla Provincia. Eravamo pochi i presenti attaccabili. Ci fecero neri. Io mi difesi con la morte dentro, urlandogli contro il mio disprezzo, e una mora psicologa freudiana mi disse: ma quando impari a trattenerti? Morii all’istante, la mia candida rivalsa solitaria. Lui, il comunista praticante, si presentò soltanto alla fine della riunione col casco sottobraccio, mentre stavamo sfiniti e bastonati davanti alla macchinetta a prendere un caffè amaro. Da lì a sei mesi lui divenne il coordinatore. Mentre io cominciavo a lottare contro gli attacchi di panico. Eppure, solo qualche mese prima mi arrivò una soffiata del segretario: stavo nei piani dei capi psicologi come prossimo coordinatore. Il giorno dopo m’iscrissi al sindacato. Il resto l’ho già raccontato.

Oggi il ragazzo che batte i tasti neri coi caratteri bianchi vuole capire il perché tragico che si annidò in quella scelta, e lo fa senza giudicarmi, poco prima di abbracciarmi.

domenica 16 marzo 2014

Il mio coraggio e la mano di Gipi

Mi rigiro nel letto e con me girano tutti gli incipit possibili per raccontare di come sono incazzato. Niente, questo è il migliore.
Ieri a Libri Come mi sono ascoltato tutto l’intervento di Gipi, e le domande che gli faceva Fofi riguardo al suo libro. Colpito da quel suo dolore onesto colorato di parolacce, che mio figlio fingeva di non ascoltare, mentre giocava con Pou sul mio cellulare, quando poi alla fine ce l’avevo davanti per stringergli la mano, impaurito, e senza coraggio me ne sono andato a una festa di compleanno. Ero inquieto. Arrivo e divoro olive e pizza. In giardino si parla ancora della Grande bellezza, dei vecchi film di Sorrentino, ma poi siamo finiti a parlare di Pennacchi. E racconto del suo essere progressista, e di come io sia condannato a esserlo, per via della povertà dei miei nonni che ancora volteggia sulla mia casetta riscaldata. Ebbene, quando il mio amico sposa la causa di Mauro Corona, sul dramma dell’umanità di aver perso l’abilità di accendere il fuoco con le pietre, sono sbottato. Educato, ma sbottato, ho detto: mo’ quando ti perdi nel bosco hai il Gps, e su, basta con questa nostalgia che si possono permettere solo i ricchi.  E lui: dovevi essere più coraggioso e invece di comprare la casa avresti dovuto comprare un terreno, un agriturismo. Incasso e penso che questo è proprio matto. Come in trance gli rifilo tutto il coraggio che (io sì) ho avuto di cambiare lavoro ogni volta che percepivo sarebbe diventato un limbo. Di tutte le volte che ho tentato invano di creare Cooperative sociali con gli amici, lui compreso: ah! affetto per gli amici, quanti freni che produci. Stremato, con un bicchiere di vino in mano, concludo che io ancora ci credo. A cosa? chiede lui, dopo che era riuscito solo ad accusarmi di andare troppo sul personale. E io di nuvole non parlo, quando sento accusarmi di non aver avuto coraggio in passato. Embè. Amico stasera ti ho battuto.
A pensarci bene, forse un po’ di ragione ne aveva il mio amico. Sì, perché ieri non ho avuto neanche il coraggio di stringere la mano a Gipi e chiacchierare con lui, ché oramai, tra libri e pezzi suoi su internet, lo frequento di più che questo mio vecchio amico. Ecco. Il punto. A quest’amico voglio bene, ma il suo farmi incazzare non riguarda più la sua persona. Oramai sto più su twitter che al telefono con gli amici. Solo che poi quando questi di twitter li vedo e li annuso in pubblico, be’, un po’ mi spaventano. Come dice Pennacchi: se fossi stato amato da piccolo, chisenefregava di scrivere libri da grande. Ed io: se avessi avuto il coraggio di stringerli la mano, chissenefregava di litigare con il mio amico un po’ depresso?

Ti dedico questa canzone, amico rassegnato.






lunedì 10 marzo 2014

facce, sguardi.

Di come arrivano le facce, gli sguardi e gli abbracci. Di come ogni cosa sa di quella cosa che pensavi da quell’inverno là. Senza finzioni, solo odori che espandono sogni e vita eterna. Mi cibo di feste, incontri organizzati, dove lasciar contaminare pensieri e parole: una via che facilita la vita. Di una serata. Di un periodo. Di un’epoca che sta già nel ricordo. Ma che bello ricordare senza piangere di rabbia. Il gusto del travestimento che appare come gioco: la mimesi di vite altrui vestite in lontani pomeriggi adolescenziali. E tu dov’eri? Bevevi alcol? Ti facevi le canne? Pensavi all’amore complicato? Io non c’ero. Ma tutta quell’aria azzurra e quei vicoli, strade nere, discese e piazze enormi per le nostre storie da nascondere, c’erano già e sapevano di te. La tua semplice bellezza che apparteneva a tutti. Pini marittimi inclusi. E le spiagge d’inverno. Quel comico rintanarsi nelle cabine aspettando la risposta.

Ieri la risposta l’hai trovata e ti sei girato di scatto verso il giardino pensando al bene che ricevi da questi momenti, da quelle parole, e da quegli sguardi che desideravi dal 1985, marzo, o giù di lì. Il limone era esploso nel frattempo.


mercoledì 5 marzo 2014

Cronaca Vera

A otto anni leggevo Cronaca Vera. In campagna durante la controra, sotto il pergolato di uva pizzutello. Dormivano tutti, pure mio padre, che intanto si era letto tutto quello che c’era da leggere: Cronaca vera, Oggi, Gente, Il Corriere dello sport e qualche Espresso capitato per sbaglio. A quindici anni ho cominciato a leggere Repubblica, che leggo ancora quasi tutti i giorni, al bar, a scrocco. A sedici anni, complice l’occupazione della scuola, e per darmi un tono, eccomi con in tasca l’Unità. Poi il Manifesto, perché crescevo come ragazzo di (quasi) estrema sinistra . Parentesi Max per le foto, che poi lì mi sono imbattuto in David Leavitt e Bret Easton Ellis. Anche Epoca, ve lo ricordate? Poi Avvenimenti, e Cuore il lunedì.


   
 Oggi, neanche se mi pagassero leggerei Il Fatto, mi incuriosisce solo per alcuni suoi blog. Il Manifesto già da qualche anno non riuscivo a capirlo fino in fondo. Mi piace leggere Il Magazine, La Domenica del sole. E soprattutto roba interessante su internet. Il Post, alcuni blog di interessanti pensatori contemporanei. Il resto, l’attualità, e quella polenta di polemica preventiva non mi attrae più. Evito tutte quelle riviste vicine alla santità. Mi annoiano. So che non sto nel giusto e mi pare logico che ci rimanga per un po': vorrei trovare un elegante equilibrio dentro la mia silenziosa ribellione. Solo mia. Come nel motto di Mario Lodi: ribellarsi facendo.

   Quando vado a tagliarmi i capelli mi leggo tutte le bassezze colorate del mondo, foderate di tette e immagini strambe. Una vecchia mania di devoto del patinato: è tutto quello che sono stato.