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lunedì 24 febbraio 2014

l'arte dell'odio

Edward Weston

“Lasciati andare e comprati un motorino. Gira per le strade di Roma e guarda i balconi. Lascia stare gli uomini, i gatti e i monumenti. Guarda verso il tetto colorato, e non scordarti delle tue amiche”.

La testa si era congelata e la maglietta primaverile faceva il possibile per non drammatizzare la scena. Quella piazza tonda di sole serviva a poco. Antonio non chiamava. Stava con la moglie o dalla madre. E’ domenica. Centinaia di bimbi facevano rizzare i capelli ai busti risorgimentali. Salti, zuccheri filati, bici e papà spenti. Dietro mogli parlantine come al solito facevano due cose insieme: sfogarsi e guinzaglio allungato.
Il vento girava cattivo attorno ai loro corpi: volevo scappare da Antonio, magari fingermi badante sostituta della madre. Antonio non c’entra, è la mia desolazione che mi spinge verso questi rimedi consolatori. Antonio ama il mio seno, non la mia testa gelata. Antonio sogna il mio corpo, non i miei pensieri intorno alle gambe.
Eppure con lui sarei diversa. In quell’ora sarei mansueta e delicata. In quell’ora amerei anche mio marito.
Ieri il freddo aveva un nome: odio universale.

I miei pensieri ospiti di questo blog vanno a vanvera e cercano cuscini leggeri.





sabato 15 febbraio 2014

la settimana politica


Sabato (scorso) ho iniziato un laboratorio qui. Ho capito dov’ero davvero solo verso la fine, mentre pulivo il tavolo con la spugnetta e S. mi raccontava come era nato quel Nido. Una sensazione strana che un giorno racconterò bene.

Domenica risveglio con corse al galoppo verso il bagno. Pensavo fosse per un’esagerata cena calabrese, in cui sfidavo il papà di una mia amica mangiando peperoncini interi sott’olio come fossero babà. Mi sbagliavo. Era un virus di stagione, senza olio. Ho dormito stramazzato dalla testa ai piedi dalle cinque del pomeriggio alle undici dell’indomani. Con piccole pause per mostrarmi vivo alla famiglia.

Martedì semplice convalescente.

Mercoledì ho stirato magliette e pantaloni della ciurma per darmi un tono. Poi ho cominciato a leggere qualcosa su Platone.

Giovedì mi sono entusiasmato leggendo pezzi sparsi su internet. Volevo scrivere ma leggevo, contento. Poi la sera alla radio Fiumani dice che Gennaio è un pezzo impegnato e nel farlo dice cose davvero punk, a differenza delle sue ultime canzoni.

Venerdì come al solito sono felice e rincuoro tutti, ricordandogli che è Venerdì, eh! Poi mi capita nell'entusiasmo di coinvolgere una che lavora all’Ama e mi fa: ma io domani lavoro, eh! 

Sabato partecipo a una formazione per Educatori all’infanzia e, dopo che la formatrice esalta lo sforzo e la dedizione degli educatori privati a differenza di quelli pubblici, e subito dopo arriva l’applauso delle stesse educatrici private, poco esaltanti a dire il vero, intervengo, dicendo che questo è un ricatto da parte del Comune di Roma, e si deve dare di più alle persone che guadagnano 900 euro al mese. Poi sottovoce dico “nemmeno le suore”, oramai rassegnato a una condizione di minoranza maschile. Domani m’iscrivo a Zumba e la faccio finita con tutto questo sindacalismo femminista.

Domenica deve ancora arrivare, non per il sol dell’avvenir, ma perché oggi è sabato e io mi ascolto la radio astenendomi da ogni spargimento di sangue televisivo. 
Ah, me ne vado al cinema a vedere Smetto quando voglio.





martedì 11 febbraio 2014

Scrivere non serve a niente

Scrivere non serve a niente è una profonda bugia. Sì, che c’entra, leggere è ancora più necessario per rivedere le nostre vite, ma anche scrivere stuzzica l’amigdala. Giuro. Il problema sta nella sintassi, nei sostantivi e negli aggettivi giusti, da escludere. Questa è la premessa furba per raccontarvi che ho una gran voglia di scrivere di un antico senso di colpa che mi opprime dalla nascita. Spesso sfioro l’argomento, altre volte preferisco raccontarlo a persone care. Poi tutto sfuma. E ricomincio a prenotare assurde visite di controllo in giro per il Lazio. Tutti questi pensieri nella testa e poi, all’improvviso, mi ritrovo influenzato a casa a pensare alla storia di mio zio, che da Pola è stato deportato a Weimar e lì, allo sbando, ma libero, si è preoccupato insieme con altri marinai di dare degna sepoltura alla principessa Mafalda. Appunto. Una degna sepoltura è come risolvere un senso di colpa, ma dopo. Quando è in corso, è difficile. Quando stai nella realtà le cose sfumano, e poi a casa prima di chiudere gli occhi alla giornata, in quei momenti che uno dovrebbe farci un film, passano immagini nitide di amore e dolore a cui non sai dare un nome. Poi ti svegli e ridi con Fiorello alla radio o ti commuovi vedendo tuo figlio che solca per la millesima volta la sua amata scuola.
Non ci riesco nemmeno oggi.
Sapete da quando esiste questo senso di colpa? Dal 1939. Poi sopra c’è passato una guerra. Si è accesa una tivvù. La lavatrice ha cominciato a ballare in cucina. E poi le bombe non erano più tedesche né degli alleati, ma d’idioti capetti di dubbia ideologia.
E lei. Coi capelli lunghi posava su di una lambretta. Poi il bianco e nero si è dissolto e cercare nitidezza col colore mi è sempre risultato difficile. Chiederò a Claudio.

Un giorno racconterò meglio questo senso di colpa. Intanto invento fughe alla brasiliana. Mannaggia però, e se poi capisco davvero che scrivere non serve a niente?




Da domani voglio imparare anch'io dalla filosofia: ecco la prima lezione.