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domenica 26 gennaio 2014

in fondo è domenica

Tre anni fa ho messo su questo blog, è successo durante una pre-insonnia di dicembre. Scappavo da facebook, quasi per scherzo e in contemporanea ad Andrea: si cazzeggiava via e-mail nel farlo allo stesso istante. Mi sentivo forte. Come mi sento forte e coraggioso quando clicco “Pubblica”; e le mie parole curate, spontanee e limate, fresche e ripetute mille volte in maniera diversa, sì, in quel momento di vertigine mi sento bello, e sono forte. Poi comincia la realtà. La mia ignoranza primitiva ricomincia a trainare la storia verso la salita. Allora comincio a mostrarmi come quello che c’entra poco col blog, e dichiaro che si tratta d’istinto e incoscienza, di una scommessa antica con mio cugino. Continuo raccontando di come mi sorprendo a tirare fuori coi denti le parole dal mio fegato. Poi in solitudine mi lecco il sangue sui baffi. Ecco, una stronzata così non la scrivevo da tempo, perché son diventato esigente, teso e implacabile verso la mia immaginazione. Chissà, magari se fossi un letterato, un cantante o una twittstar sarei pure apprezzato, ma poi martoriato, in privato, dove qualcuno sa fare il feroce per accontentare l’ospite di turno o la signora scollacciata in nero. Mi butto avanti con tutto il pessimismo finto che non mi appartiene. Fiction di serie C.

Mi sto sputtanando con questo blog? Mentre me lo ripeto per l'ennesima volta, anche ora, su questo tavolo ikea pieno di frutta e silenzio, sento una vocina suadente che mi suggerisce di continuare: disperdere le velleità e spolverare quelle idee di curiosità che hanno sempre esorcizzato il tuo domestico vuoto. Alle vocine suadenti lascio sempre la finestra aperta. Quella del retro.

Postilla mattutina: darei forse un braccio per sapere il motivo vero per cui ieri pomeriggio la mia testa abbia partorito il post qui sopra. Anzi, indico un torneo per salvare il mio braccio: suggeritemi voi una motivazione plausibile. Vi do degli indizi: freddo, dolce angoscia domenicale e "il gatto e la volpe" cantata a squarciagola con il figlio. Dopo è accaduto il fattaccio. Aiutatemi su.


Ora ascoltiamoci insieme ‘sto pezzo di stagione.


 E pure questo pezzo mi leggo.

venerdì 10 gennaio 2014

Tempo di imparare

 In questo libro ci sono parole dure, scavate e scolpite per mostrare la costruzione di una relazione. La prima parte è un vulcano: rabbia e solitudine, lava che non consola. Poi al centro nasce un albero, frutto di cura e attesa. Il resto è uno scoppio di pianto continuo, proprio perché trattenuto, che allaga lo specchio che tiriamo su per guardare una realtà ostinata, che abbiamo sempre temuto.
Stare nella diversità, praticarla nelle sale d’attesa di medici o nelle assenze alle feste, diventa la condizione di un’umanità sconvolta nelle viscere, non minoritaria ma nascosta. Valeria Parrella già in “Behave” ci raccontava di persone dentro mondi piccolissimi, spesso evitati o derisi. Lei raccontava senza preoccuparsene. Ho ammirato quel racconto. Qui, dopo lo spazio bianco, si è aperto uno squarcio che non ha senso tacere.
Le parole che mancano ad Arturo diventano sofferenza, preoccupazione quotidiana, ma nel dialogo con Miranda l’eccesso è gettato nel secchio ghiacciato delle statistiche. Dopo compare l’albero, un logogrifo che ci fa respirare, e si attraversa il solco e il dolore comincia a vestirsi di bellezza. Allora ce ne andiamo a spasso per un mare di parole più belle.
“Arturo non parla, ma pensa” dice con saggezza una bimba. Poi sorprende un invito che riceve Arturo da Antonio: può venire Arturo a giocare a casa mia? La madre intravede uno spazio nel mondo per il figlio e si arrende all’emozione; per questa sua conquista, di Arturo, che è forse pari alla traversata che fa sul ballatoio di casa. Il racconto si riempie di vita, di caffè, di sguardi, e si allontana leggero dalla voragine iniziale.

Eccoci a un convegno in cui la Superiorità della Madre - una lotta furibonda tra frustrazioni e conoscenza - è mostrata oscenamente. Allora tutti sembrano ritirarsi, tranne la sua forza: evoluzione della rabbia primitiva? I genitori dell’associazione sono ritratti accanto alla narratrice, partecipano e determinano l’ultimo tratto del libro. Che culmina, dopo averci fatto conoscere isole, mari, antichità e intimità, Ariel, il botanico e il trambusto napoletano, in una passeggiata sul molo che diventa un filo d’acciaio davanti a quella scuola gialla che frequenta felicemente Arturo. Non si spezza più niente all’orizzonte: come coriandoli le parole dell’albero ci accarezzano. E che fai non piangi anche tu a questo punto?


lunedì 6 gennaio 2014

un dono da donare

coperitna di Storia d’agosto, di Agata e d’inchiostro

   Pensavo di leggere un libro di Recalcati, o di Serra, insomma, qualcosa sugli adolescenti contemporanei, su mio figlio dodicenne. Una mia cara amica mi ha mandato ben due sms con tutta una serie di titoli da leggere. Grazie amica, ma ci ho rinunciato, già le festività ti riducono come una goffa entità celestiale rotolante, lasciamo correre va, ho pensato mentre mi lasciavo rotolare. Poi, l'altra sera, dopo aver riletto un bel racconto di Nadia Terranova, Via della Devozione, mi sono ricordato che avevo regalato questo libro a mio figlio:  Storia d’agosto, di Agata e d’inchiostro.  Eccomi in due mezze notti a leggere una bella storia di due adolescenti: Agata, dodicenne che si trova all'inizio di quest’età tribolante e Gabo, diciottenne, che sta quasi al termine dell'età difficile in questione. Be’, in quei dialoghi e in quelle atmosfere mi sono immerso in un mondo che spesso evito di osservare per quello che è: una disordinata e puzzolente, ma anche tenera e fondamentale, fabbrica di futuri uomini e donne. Preferisco far finta di saperne abbastanza, di quello che serve per affrontare questa battaglia adulto-adolescente, perché ci sono già passato, annuendo all’amico cogli stessi problemi; agendo come se mio figlio avesse ancora dieci anni, e vederlo ancora lì sulla bici davanti casa che scorazza felice e leggero. Cazzate. Ora sono padre di un adolescente, e la mia andata adolescenza è rimasta appesa come una bandiera sdrucita, secca, senza ancora un’accettabile comprensione che le dia degna deposizione nella storica bacheca personale. Tocca rimboccarci i pensieri e tuffarci sereni in questa nuova fase: vale per il figlio e vale per me, metà e metà di responsabilità. 

     A volte sembra che la Narrativa, quella letta sulla metro o a letto, in bagno o durante il placido sonno dei bimbi, ci faccia sentire meno saggi, di quando si leggono i Saggi, magari su una poltrona di pelle marrone, con una lampada giusta e un panorama mozzafiato davanti. Mi sa che è così. Eppure dopo certe letture ho uno slancio di energia che si sprigiona che m’impressiona; questo avviene da una condivisione, seppur minima e silenziosa, tra me e la scrittrice, tra lo scrittore e me, da storia a storia. Da te a me.

    Ecco, appunto, oggi ho cominciato a leggere un’altra cosa che mi riguarda, un altro sguardo da afferrare e trattenere almeno per qualche giorno: Però ce ne andiamo per un mare di parole più belle (cit.).