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lunedì 28 aprile 2014

lo chiederò a Igiaba Scego

Una mattina mi son svegliato e sono andato a Porta San Paolo. Da giorni che pensavo di farlo: l’ho fatto portando con me figli, moglie e amici. Sopra il palco vecchietti arzilli e sotto bandiere e persone. La persona che mi racconta meglio di tutti la resistenza è Luciana: riesce a commuovermi come volevo, con la sua storia dei partigiani. Intanto, tra le bandiere e le persone, esplode il caos tra il gruppo della brigata degli ebrei e quello dei pro-palestinesi. Lei continua a parlare, e quando il presidente la invita rozzamente a tagliare, Luciana s’infervora di più e dice che deve finire il suo discorso. In quel momento l’ho amata, odiando, con tutto il mio maschio femminismo, il vecchio presidente baffuto. Lo scontro tra le bandiere ebraiche e quelle palestinesi non finiva più, diventando un inutile spettacolo, complicandomi il racconto sulla resistenza che avrei fatto la sera ai miei figli.
Per pranzare ci siamo sdraiati al parco tra mille badanti e il loro tempo libero, di vino, musica e pensieri di piombo che sembravano appesi davanti ai loro enormi occhi azzurri.
Nel pomeriggio ci spostiamo al museo di via Tasso. Le mie orecchie sono ancora lì ad ascoltare le storie di De Angelis sui partigiani romani, i nazisti e le loro prigioni, e poi di delatori fascisti e di eroi coraggiosi. E i miei occhi vedono ancora tutte quelle facce in bianco e nero stropicciate dal tempo, gli eroi nel vento: della storia, della retorica, del laviamoci la coscienza con gli eroi di ieri. I loro sguardi non sembravano quelli dei futuri eroi, ma avevano semplicemente una posa da documento d’identità, e che a me faceva pensare a storie stropicciate e strappate da uomini ottusi tre generazioni fa.
E noi tra quelle stanze in silenzio ad aspettare che la Storia arrivi a spiegarci perché oggi lasciamo che cortei tristi e neri scorazzino ancora nei nostri quartieri ornati di gerani. La sera prima: noi lì ad aspettare, con le orate fresche nelle buste Coop, di passare una spensierata serata prefestiva e questi, bloccando il quartiere, scortati, sfilano scuri di fiaccole e slogan, che pensavamo di non far ascoltare più alle nuove generazioni. Dopo una settimana di fatica lavorativa pagata appena per una decenza mal gestita, ci ritroviamo a lasciar scorrere questo fiume rabbioso davanti alla nostra spensieratezza part-time. Perché? Lo chiederò a Igiaba Scego. E la presentazione del suo nuovo libro potrebbe essere l'occasione. Clicca qui.
Verso sera mangiamo un gelato dalle parti di piazza Vittorio, e non ci va di metterci a torturare il presente per evitare di capire il passato: sorridiamo come sanno sorridere le bimbe nei cortili fioriti in aprile.



Poi ho deciso di scrivere questa cosa che sa un po’ di me e un po’ di noi. Stanotte spingeva per uscire dal mio mal di testa.



Poi oggi pomeriggio ho letto questo racconto di Gipi e stavo per cancellare questo mio esile esile.
Vabbe', mi perdono va'.

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