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domenica 16 marzo 2014

Il mio coraggio e la mano di Gipi

Mi rigiro nel letto e con me girano tutti gli incipit possibili per raccontare di come sono incazzato. Niente, questo è il migliore.
Ieri a Libri Come mi sono ascoltato tutto l’intervento di Gipi, e le domande che gli faceva Fofi riguardo al suo libro. Colpito da quel suo dolore onesto colorato di parolacce, che mio figlio fingeva di non ascoltare, mentre giocava con Pou sul mio cellulare, quando poi alla fine ce l’avevo davanti per stringergli la mano, impaurito, e senza coraggio me ne sono andato a una festa di compleanno. Ero inquieto. Arrivo e divoro olive e pizza. In giardino si parla ancora della Grande bellezza, dei vecchi film di Sorrentino, ma poi siamo finiti a parlare di Pennacchi. E racconto del suo essere progressista, e di come io sia condannato a esserlo, per via della povertà dei miei nonni che ancora volteggia sulla mia casetta riscaldata. Ebbene, quando il mio amico sposa la causa di Mauro Corona, sul dramma dell’umanità di aver perso l’abilità di accendere il fuoco con le pietre, sono sbottato. Educato, ma sbottato, ho detto: mo’ quando ti perdi nel bosco hai il Gps, e su, basta con questa nostalgia che si possono permettere solo i ricchi.  E lui: dovevi essere più coraggioso e invece di comprare la casa avresti dovuto comprare un terreno, un agriturismo. Incasso e penso che questo è proprio matto. Come in trance gli rifilo tutto il coraggio che (io sì) ho avuto di cambiare lavoro ogni volta che percepivo sarebbe diventato un limbo. Di tutte le volte che ho tentato invano di creare Cooperative sociali con gli amici, lui compreso: ah! affetto per gli amici, quanti freni che produci. Stremato, con un bicchiere di vino in mano, concludo che io ancora ci credo. A cosa? chiede lui, dopo che era riuscito solo ad accusarmi di andare troppo sul personale. E io di nuvole non parlo, quando sento accusarmi di non aver avuto coraggio in passato. Embè. Amico stasera ti ho battuto.
A pensarci bene, forse un po’ di ragione ne aveva il mio amico. Sì, perché ieri non ho avuto neanche il coraggio di stringere la mano a Gipi e chiacchierare con lui, ché oramai, tra libri e pezzi suoi su internet, lo frequento di più che questo mio vecchio amico. Ecco. Il punto. A quest’amico voglio bene, ma il suo farmi incazzare non riguarda più la sua persona. Oramai sto più su twitter che al telefono con gli amici. Solo che poi quando questi di twitter li vedo e li annuso in pubblico, be’, un po’ mi spaventano. Come dice Pennacchi: se fossi stato amato da piccolo, chisenefregava di scrivere libri da grande. Ed io: se avessi avuto il coraggio di stringerli la mano, chissenefregava di litigare con il mio amico un po’ depresso?

Ti dedico questa canzone, amico rassegnato.






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