L’altra sera me ne andavo in giro per
San Lorenzo, senza meta. E grazie, alle 20.30 stavo già all’ex cinema Palazzo
per il concerto. Dopo centinaia di concerti ancora faccio finta di credere che
i concerti a Roma inizino alle 21.30. Così mi ritrovo davanti a una sede di (vari) comunisti ben illuminata e con vetrate enormi, sembrava un acquario,
insomma, davanti a questa scena – sul fondo c’era un enorme dipinto stile
Guttuso – con una decina di persone in cerchio a discutere con flemmatica
dialettica, be’, io mi sono incantato. Da fuori sentivo quell’odore di stantio, fumo, lattine mezze vuote di birra
e quell’aria pesante che solo al pensiero mi emoziono, ma, mannaggia la
miseria, subito dopo mi deprimo. Un mondo fa. Agli angoli di San Lorenzo ci sono
spavaldi spacciatori nervosi. Non sapevo più cosa osservare, avevo scrutato
tutti i locali e i loro avventori, gli studenti allegri e i tipi che al
cellulare dichiaravano i loro amori e poi i dolori, e allora, dopo che mi ero
fermato davanti alla palestra popolare, e avevo visto ‘ste ragazze fiere di
stare nella palestra popolare, mi sono rifugiato a leggere a scrocco dentro la
libreria Giufà. Alle 21.40 mi sono infilato in un bar anonimo, di quelli che
piacciono a me e che resistono ai cinesi e alle mode degli studenti, e mi sono
seduto davanti a un tè caldo e a un Messaggero sfogliato già da migliaia di
dita, chissà da quali mani e che occhi. Alle 22 stavo davanti al palco. Ascolto
per rispetto il primo gruppo e poi inizio ad assistere allo spettacolo strambo
dell’euforico, e un po’ avvelenato, Filippo Gatti. Parte coi pezzi vecchi tirati e poetici e mi comincio a muovere e a commuovere, nella mia rigida
posizione di solitario ascoltatore. Come mi piace ascoltare da solo, ma se fossero
venuti quei quattro amici che avevo invitato, di certo, sarei stato bene lo
stesso con loro a chiacchierare di aneddoti e cazzate pre e post concerto, con
una birra tremante in mano. Dopo tre pezzi salta la corda della chitarra e
Gatti ci scherza su. Poi si rompe la tracolla. Poi durante un pezzo squilla il
cellulare del bassista, e qui comincia a scemare l’umorismo, e si entra nello
spettacolo puro. Le canzoni sono belle e suonate anche meglio, e Filippo Gatti
dice che dovremmo firmare il nostro nome su di un foglio, per ricordarci di
questa serata, di quello che stiamo vivendo lì con lui. Chissà cosa gli passava
per la testa, magari pensieri potenti che andranno a finire dritti nelle sue
nuove canzoni. Chissà.
Non riesco a finire ‘sto pezzo perché
mio figlio mi obbliga a studiare i
metalli preziosi, dice che non so nulla del bronzo, del rame, e figuriamoci
dell’oro! Già, non so proprio nulla di ciò che è davvero prezioso, per questo
vagavo solo per il quartiere che ho amato di più a Roma, e che oggi mi sembra solo
un quartiere vecchio e poco più. Per questo aspetto con piacere le nuove
canzoni di Filippo Gatti. Meno male che solo gli stupidi si muovono veloci. Va.
Buone feste a tutti voi, e che siano gentili e leggere come questo discorso qua (clicca).
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