Tonino scende di corsa le scale del
policlinico. Una volta all’uscita si ferma e guarda il grande piazzale del
parcheggio. Sembra ghiacciato d’auto. Minuscole persone che staccano dal turno
anch’esse. Il gabbiotto del parcheggiatore è buio, si riconosce per abitudine d’orizzonte.
Il tondo fascio dei lampioni gialli non arriva a coprire l’enorme lago
ghiacciato. Qua e là ciuffi d’erba sopravvissuti al calpestio pensieroso dei
visitatori ansiosi di arrivare il prima possibile dallo specialista, o dal
parente ricoverato. Il rumore di tazzine scaraventate con stile da baristi
scalmanati è solo ricordo di giorno, niente, ora c’è soltanto il lago
ghiacciato.
“Pronto, dimmi!”
“Ciao Grazia, niente, sto in rosticceria
e volevo chiederti se ti va di mangiare con me il pollo alla diavola”.
“ Ti ricordo che non viviamo più
assieme da mesi, sei un po’ distratto…”.
“ Già, ma avevo voglia di divorare il
pollo con te”.
“ Senti finiamola qui prima di sprecare
venti euro di telefonata per niente”.
Stasera la città è vuota di partita
di calcio e il percorso lavoro-casa si accorcia, la mancanza di code gli fa
balenare nella mente la possibilità di telefonare a Sara, dopo il categorico e
scontato rifiuto di Grazia. A Sara piace ricevere telefonate la sera,
all’improvviso, e risponde sempre come se fosse la CHIAMATA. Mentre tentenna
prima di chiamarla sfoglia la posta della pubblicità della cassetta condominiale.
Viaggi fantastici e pizze consegnate a domicilio con soltanto quattro euro, con
la birra in omaggio, se prendi pure il supplì. Di fronte la vetrata sporca da
lavori in corso interrompe la trasparenza. Fuori, nel piazzaletto mattonato
marrone si vedono piante solite da condominio, almeno romano, almeno urbano.
Dentro all’atrio parte la telefonata. Interrotta un attimo dopo dal segnale
tutu tutu. Allora sale i due piani fino a casa lentamente. Forse sta
trascorrendo lo stesso tempo che c’impiega solitamente Sara nel baciarlo, poco
prima che gli sbottona i pantaloni, quel lungo bacio dove passano milioni d’intenzioni,
sogni e aspettative di fine settimana di vita. Una volta Sara ha pianto dopo
quel bacio. Voleva spiegargli con parole miste a lacrime la sua condizione di
ragazza trentenne laureata, sottopagata, e con una credenza piena di carciofi e
melanzane sottolio, scamorze e soppressate. Da mangiare nelle serate fredde, da
sola, perché con quella con cui divide la casa proprio non le va di dividere
pure il cibo tribale che sua madre le invia ogni mese. Allora mentre piagnucola
si mette a raccontare di quel ragazzo del suo paese che la tormenta per tutto il
mese d’agosto, a cui non ha dato nemmeno un quarto del bacio che da solitamente
a lui, ma che, lo stesso, insiste peggio di un operatore di sky per quei cazzo
di abbonamenti. Ti piace il calcio? E i film? Ma va va, questo Sara lo dice
proprio mentre sta passando il guado lagnoso per approdare alla cintura di
Tonino, slacciandogliela anche stavolta. Subito dopo si disperdono in una
nuvola rossa il ragazzo opprimente del sud, la rompipalle di sky e tutte le
pieghe tossiche del giorno. Tonino con una smorfia testimonia il passaggio
della nuvola e accetta sereno il rimedio.
“Sara cara, come stai?”
“ Benone! E tu, cucciolo mio, come
va? Non ti sento mica sereno, come mai?”
“ Niente, solo stanco di una giornataccia
di lavoro…ma cosa fai, ora, che fai?”
“ Sto andando al cinema, vieni pure
tu, dài”.
“ Al cinema? No, no, mangio qualcosa
e vado a dormire. Grazie però”.
“ Vabbè non insisto, perché tu sei proprio
un capoccione. Un bacio”.
Sbatte la porta sovrappensiero. Ma il
rumore lo scuote lo stesso e gli indica il tormento da seguire. Così si siede
davanti al portatile e comincia a scrivere.
Stavo nel salone dell’ostello. Come spesso accade in questi luoghi
s’incontrano persone, quindi spensierati si chiacchiera fino tarda sera. Stavo
lì con Grazia, e anche lei come me era affamata e curiosa di persone da
conoscere. C’era un ragazzo. Del sud. Pareva un po’ ubriaco. Diceva cose
sconnesse e s’intuiva una rabbia mista a rancore per alcuni parenti di giù. Non
era tutto chiaro. In questi casi capita che uno diventa personaggio per quella
serata e si prende tutta la scena.
Questo ragazzo lo aveva fatto con un po’ di aggressività. Scherzavamo cercando
di abbassargli d’istinto l’aggressività, ridendo delle sue lugubri battute.
Almeno ci abbiamo provato. A un certo punto questo ragazzo alza il tono della
voce e fa vedere la pistola che ha con sé. Dice che deve ammazzare un parente.
Tutti restano col fiato strozzato in gola. Nessuno parla più. Dopo dieci minuti
mi ritrovo in bagno e vedo questo ragazzo e la sua pistola in evidenza. Ho
paura, per la prima volta ho paura davvero della morte. Di quella improvvisa.
Quei cinque minuti in bagno assieme a quel ragazzo con la pistola sono stati
tremendi. Perché quel ragazzo cominciava a delirare contro gli ospiti dell’ostello
e maneggiava la pistola come fosse una compagna perversa con cui fare cose
strane. Una volta nella stanza, nel mio posto a piano terra del letto a
castello, mi sono messo ad ascoltare i discorsi di politica che gli altri due
dei piani alti stavano facendo. Il craxismo e le sue schifezze era il tema,
tenerezze al confronto del pistolero pazzo in bagno. Quella paura per una morte
casuale, violenta e improvvisa ancora oggi è viva nella mia mente. E anche oggi
voglio scacciarla, stavolta al posto di Craxi c’è Sara. Anche se lei ora sta
comoda al cinema e io qua mi slaccio i pantaloni da solo.
Le ossa del pollo formano un quadro
astratto, tipo cubista. La faccia di Tonino un po’ espressionista riflette nel
piatto cubista e si pietrifica. Fuori le macchine si rincorrono dopo la
partita. I vicini vedono un film porno a tutto volume. Il cinema dove siede
Sara è mezzo vuoto. Tonino forse pensa a Grazia, alla sua irriducibile volontà
di abbandonarlo ogni giorno, dopo ogni telefonata. Anche in quelle serate
mondane dove s’incontrano da amici, pure col sorriso leggero riesce a
trasmettergli una chiusura ermetica al suo cuore. Grazia non è cattiva, solo
delusa. Poteva aspettarsi di tutto da lui, in fondo quando l’ha scelto era così
strambo nelle sue manie. No, l’ha abbandonato alle sue manie per il fatto che
non aveva più voglia di stare con uno che si era rassegnato a fare il
portantino, assunto tra l’altro da una cooperativa, quindi sottopagato, pur di
non insistere con l’università, la scrittura e un mondo di intellettuali
brillanti. Loro in fondo ne facevano ancora parte di questo mondo, ma solo a
sprazzi, come outsider senza portare nulla di originale in quei sabati sera di
vino e risate. A lei questo pareva assurdo. Infatti, sforzandosi come una
ribelle marxista degli anni venti, si era iscritta all’università e dava esami
tra turni massacranti allo sportello reclami dell’agenzia delle entrate. Un
lavoro fatto di pazienza e strategia, altro che statali imboscati, qui si salva
il paese dalle insurrezioni quotidiane! Così raccontava agli amici quella sera,
e mentre lo faceva provava quel gusto di donna impegnata che le ricordava certe
donne degli anni settanta che rigorose e belle rappresentavano un cambiamento
possibile.
Intanto Tonino contava gli ossicini del pollo
grattandosi il capo lentamente.
La strada lampeggia insegne e il
vento anima il silenzio, Sara si è fatta accompagnare a casa di tonino. Citofona.
“Posso salire cucciolo?”
Il pantalone a terra forma una V e
dirige lo sguardo verso i suoi piedi minuti. Le unghie viola sembrano morte e
le caviglie mostrano una tensione appena vinta. Tonino osserva il corpo
rannicchiato di Sara rimbalzando di tanto in tanto lo sguardo verso il soffitto,
come un flipper impazzito dove non si vince mai. Di scatto, dopo averle
studiato ogni venatura e ogni piega della carne, le accarezza la nuca
ripetendo, anche se con un ritmo più lento, gli stessi movimenti del pompino
appena ricevuto. Subito dopo Sara si è addormenta di colpo, succede che si
addormenti sopra la sua pancia dopo l’intimità di quei momenti. L’aria della
stanza è umida e fa pensare alle lagune con quei rospi sazi a fare da guardia
al buio lungo la riva sabbiosa. Dopo averla accarezzata, va allo scrittoio e
comincia a scrivere nervosamente.
Quella volta della paura per la morte improvvisa in effetti è stato solo
una prova, per i miei nervi, la mia sensibilità. Avevo bisogno di capire dove
stava riposto quel buco nero, quello della memoria sporca di esperienze da
custodire al riparo da tutti. Quello delle botte prese dai parenti. Quello
delle violenze subite, viste, nei racconti e dal vero. Più dai racconti, certo;
anche se ricordo bene quella volta che abbiamo prelevato una donna dalla sua
casa, alle due di notte, per portarla sulla spiaggia e dove alcuni di noi
l’hanno palpeggiata pesantemente, anche se lei era consenziente già dall’uscio
di casa, risultava comunque una scena insopportabile; di certo non era del
tutto consenziente la mia coscienza che si è messa a urlare agli altri di farla
finita, visto che quella signora era anche un po’ ritardata, e anche madre, con
una sua vita normale di paese. (Maledizione! Ma chi frequenti?) Ma ormai era
tardi e alcuni amici con quel nostro accento siciliano marcato stavano già
volgarizzando di più la scena, con parole sconce che provocavano risate e cazzi
dritti al resto della banda. Quella notte ho deciso di fuggire via da Milazzo,
e ho percorso con la mente tutte le schifezze vissute a cui non avevo dato un
peso fino ad allora. Certi ambienti sono vigliacchi già dalla nascita, e non
lasciano spazio alle cose belle da immaginare. Solo schifezze e violenze. L’Espressonotte
che mi ha condotto a Roma era pieno di questi attori schifosi, con quella loro puzza
di piedi che prendeva alla gola. Fanculo, dormo nel corridoio.
Il primo autobus del mattino fa la
sua curva con la solita scioltezza. Il bar è già aperto, e il via vai rende la
strada viva e densa di attese. Ognuno di loro si aspetta qualcosa. Quella donna
con il vestito nero oggi ha un colloquio di lavoro importante. Il signore con
il giubbotto di pelle e il casco che gli pende dalla mano, sta immaginando come
sarà la ragazza conosciuta su Facebook, cui offrirà un cappuccino al miglior
bar del quartiere. Quel ragazzo con i capelli biondi accelera per non perdere
il treno, quello che lo porterà all’ingresso del liceo, e infine, tra le
braccia di Cristiano, che non lo sa ancora nessuno, ma già è diventata una cosa
importante.
Tonino rientra nel salotto
stringendosi le braccia. Osserva lo sguardo infantile di Sara mentre va verso
la cucina. Il primo caffè va bevuto da solo.
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