Pagine

venerdì 12 ottobre 2012

venerdì sera


Amo il venerdì sera perché scaccia le nuvole nere e le angosce dei cinque giorni precedenti. Poi se ti arriva lo stipendio due giorni d’anticipo allora scappi alla coop a riempire il carrello come se fosse l’ultima spesa che hai a disposizione. Prendi il pollo allo spiedo che mette sempre allegria. Il banconista ride e sembra un gallo. I bambini corrono lungo i larghi corridoi semivuoti e a tratti, quando urlano per farsi vedere, sembra di stare dentro a uno Shining di provincia. Papà mi prendi fifa ’12? No, a Natale. Dopo cinque minuti: mamma mi ha detto di sì, prendo quello usato a dieci euro. Certo, caro figlio mio, visto che lo stipendio in anticipo è contagioso e scaccia le nuvole nere di tutti, in fondo. Alla cassa siamo rimasti un quarto d’ora col rullo in azione, ci mancava poco che la commessa ci chiedesse un invito a cena. Il pollo e lo stinco si agitavano tra detersivi e merendine. Il vino rosso di traverso tranquillizzava tutti gli altri prodotti inquieti. Nessuno di questi pazienti prodotti ancora non sapeva in quale casa sarebbero finiti. A me i prodotti nei centri commerciali sembrano tutti vivi e pensanti. Me li immagino di notte, in quell’ultima notte che passano assieme sopra a quei scaffali bui, a raccontarsi come sono finiti là, e sperare di ritrovarsi magari in qualche casa. Nella stessa credenza. Ascoltare le voci di quella casa e assaporarne il clima e quei lunghi silenzi che certe case contemporanee sanno mantenere. A volte scadono i prodotti, e se ne stanno là, in pace, oltre ogni possibile casualità, dentro stipi chiusi. La sera alle quiete cene sopraggiungono urla e silenzi imbarazzanti fatti di pizze prese all’ultimo minuto. Così loro restano ancora qualche giorno, fino a quando a Lei non viene voglia di ricominciare a sperare. Allora fa fuori il passato e la polvere.  E tutti loro.

Adesso lo scontrino più lungo della storia della mia famiglia se ne sta tra due calamite sul frigorifero. Un miracolo. Fino a stamattina scroccavo caffè a lavoro con la scusa che non avevo spicci. E facevo pure le mosse. Mi devo vergognare? E perché? Sto raccontando il quotidiano, e di certo non come fa solitamente la televisione, con le sue morbosità che prendono forma di tette e di facce truccate male. Per esempio, del caso mediatico del bambino conteso a Cittadella, a me non importa più nulla. M’importa forse della sofferenza che smagrirà ancora di più la storia di quel bambino, ma non voglio ascoltare le urla strumentali di parenti per gli occhi di quei telespettatori vari, che così  riempiono le flaccidi menti di questo dolore di seconda mano; e mentre lo fanno si sistemano quelle penose pettinature lucenti. Andate al diavolo insieme alle vostre misere concessioni in fatto di diritti e dignità.

Restano le belle canzoni, le telefonate d’affetto e il grappino che sta ingrossando il mio fegato con passione. E i suoni, quelli del venerdì sera che promettono bonaccia appena fuori dalla porta. Neppure un rospo sull’uscio.

Nessun commento: