In quei pomeriggi
dolciastri d’agosto o di luglio, che oggi non so più, in quei lunghi e
circolari pomeriggi senza vento, noi si amava Mariella. Eravamo in tre. Gianni,
Enrico e io. Una volta battuto i cento scalini e passa che ci portavano in
collina da lei, dove spesso si superavano vecchiette nere nere coi capelli
nascosti che formavano un’enorme cipolla grigiastra: una volta ho visto mia
nonna con i capelli sciolti e per poco non svenivo alla vista di quella chioma
che le raggiungeva sicuro i polpacci, forse anche le caviglie. Il mio sguardo ladro attraverso la stanza e
il bagno durò mezz’attimo, poi per scacciare l’immagine di mia nonna capellona
dai miei occhi mi sono messo a pensare a Mariella. Insomma, dopo quell’infinita
scalinata si arriva davanti a un cancello arrugginito da secoli di piogge, che
allagano gli amanti da sempre; a trenta metri c’è la casa fatiscente ma bella
di attese, della famiglia di Mariella.
kirchner (marcella) |
Dentro la madre cicciona sta già mangiando un’intera
cesta di ciliegie. Noi col pettine di Enrico tra le mani siamo quasi pronti:
gli ultimi ritocchi sulle chiome nere, prima del duello finale per Mariella. Gianni
e io con le mani grattiamo i capelli crespi e brillantinati di Enrico. Che ride;
ché lui rideva sempre quando stava con noi, mica come quando stava con quel teppista
triste di Carlo. Enrico aveva una risata rilassante che piegava ogni
aggressività, e questo poco prima del duello appariva disarmante a me e a tutto
il quartiere collinare.
Eccoci al cospetto della
principessa Mariella, davanti al suo castello di tufo e pietre, da cui sentivamo
provenire la canzone di Michael Jackson. Un saluto e già stiamo ballando tutti
insieme dentro a un salone lungo e mezzo buio; ma la luce che riesce a passare
dalla finestra è più luminosa di quella di fuori. L’odore di fagiolini bolliti rallenta
l’esplosione di ormoni, che il passaggio della sorella di Mariella, abbracciata
a un marine creolo, procura ai nostri occhi, che intanto si occupano di
disegnare il percorso dei due fino al piano di sopra. Certo che gli ormoni non
è che scappassero tutti verso l’alcova del primo piano, e no, ché con Mariella
beata e ballereccia tra di noi, questo non era proprio possibile; invece ce li
siamo passati da buoni amici, di bocca in bocca, di tasca in tasca, fino a
gonfiare ogni cosa. La madre immola la trecentesima ciliegia, e con gli occhi segue
i nostri passi. Oramai la collina di noccioli ci separa dal suo mondo, mentre i
seni di Mariella ci costringono al suo, di mondo, dorato e levigato, da chissà
quale mani, o quali cuori. Il duello lo sto di sicuro vincendo io con quei
movimenti da molleggiato che metto in pista, e che da sempre sono la mia carta
vincente. Da sempre, ma non in quel momento. Infatti, proprio allora vedo Gianni
accompagnare Mariella nel giardino di sotto, tra mandarini, limoni e api, e
nello spazio dello stesso sguardo vedo pure le loro lingue che si presentano felici.
Io, Enrico e la madre di Mariella in quell’attimo formiamo un triangolo
ridicolo, immobile di musica degli Immagination, e vorticoso di nervi tra
l’infuocato piano di sopra e il mieloso giardino di sotto.
La cagnetta dorme sotto
le cosce enormi della signora.
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