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venerdì 25 maggio 2012

stupore d'allora


kirchner (marcella)
In quei pomeriggi dolciastri d’agosto o di luglio, che oggi non so più, in quei lunghi e circolari pomeriggi senza vento, noi si amava Mariella. Eravamo in tre. Gianni, Enrico e io. Una volta battuto i cento scalini e passa che ci portavano in collina da lei, dove spesso si superavano vecchiette nere nere coi capelli nascosti che formavano un’enorme cipolla grigiastra: una volta ho visto mia nonna con i capelli sciolti e per poco non svenivo alla vista di quella chioma che le raggiungeva sicuro i polpacci, forse anche le caviglie.  Il mio sguardo ladro attraverso la stanza e il bagno durò mezz’attimo, poi per scacciare l’immagine di mia nonna capellona dai miei occhi mi sono messo a pensare a Mariella. Insomma, dopo quell’infinita scalinata si arriva davanti a un cancello arrugginito da secoli di piogge, che allagano gli amanti da sempre; a trenta metri c’è la casa fatiscente ma bella di attese, della famiglia di Mariella.

 Dentro la madre cicciona sta già mangiando un’intera cesta di ciliegie. Noi col pettine di Enrico tra le mani siamo quasi pronti: gli ultimi ritocchi sulle chiome nere, prima del duello finale per Mariella. Gianni e io con le mani grattiamo i capelli crespi e brillantinati di Enrico. Che ride; ché lui rideva sempre quando stava con noi, mica come quando stava con quel teppista triste di Carlo. Enrico aveva una risata rilassante che piegava ogni aggressività, e questo poco prima del duello appariva disarmante a me e a tutto il quartiere collinare.

Eccoci al cospetto della principessa Mariella, davanti al suo castello di tufo e pietre, da cui sentivamo provenire la canzone di Michael Jackson. Un saluto e già stiamo ballando tutti insieme dentro a un salone lungo e mezzo buio; ma la luce che riesce a passare dalla finestra è più luminosa di quella di fuori. L’odore di fagiolini bolliti rallenta l’esplosione di ormoni, che il passaggio della sorella di Mariella, abbracciata a un marine creolo, procura ai nostri occhi, che intanto si occupano di disegnare il percorso dei due fino al piano di sopra. Certo che gli ormoni non è che scappassero tutti verso l’alcova del primo piano, e no, ché con Mariella beata e ballereccia tra di noi, questo non era proprio possibile; invece ce li siamo passati da buoni amici, di bocca in bocca, di tasca in tasca, fino a gonfiare ogni cosa. La madre immola la trecentesima ciliegia, e con gli occhi segue i nostri passi. Oramai la collina di noccioli ci separa dal suo mondo, mentre i seni di Mariella ci costringono al suo, di mondo, dorato e levigato, da chissà quale mani, o quali cuori. Il duello lo sto di sicuro vincendo io con quei movimenti da molleggiato che metto in pista, e che da sempre sono la mia carta vincente. Da sempre, ma non in quel momento. Infatti, proprio allora vedo Gianni accompagnare Mariella nel giardino di sotto, tra mandarini, limoni e api, e nello spazio dello stesso sguardo vedo pure le loro lingue che si presentano felici. Io, Enrico e la madre di Mariella in quell’attimo formiamo un triangolo ridicolo, immobile di musica degli Immagination, e vorticoso di nervi tra l’infuocato piano di sopra e il mieloso giardino di sotto.

La cagnetta dorme sotto le cosce enormi della signora.




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