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martedì 8 maggio 2012

scritto in sette minuti (e si vede)


Oggi ho bevuto quasi un’intera bottiglia di falanghina. Ho mangiato come un dio. Festeggiato come un pascià. Altre cosette intime che non sto a dire. Niente retorica: Grillo è la novità, una volta le prugne sapevano quasi di prugne, eh! No, oggi, in questo giorno speciale, di solitudine e amore, di tensione e silenzio, io vedo la mia vita sgargiante. Potrei vivere pure povero e con tachicardie, ma salto tra le vostre convinzioni come un grillo vero e bacio in bocca le farfalle. Io vedo tutto, anche i tuoi punti neri. Anche la tua innocenza. E poi ho letto Dino Campana, mica Montale, e tutto il suo ermetismo che sa di tappo. Pardon, premio nobel, ossequi a voi discepoli come polli d’allevamento, io scelgo sempre il peggio. Non so fare altro. Vedermi morire davanti a una fila di ombrelloni chiusi, ecco il mio testamento che sa di selenio. Amore mio, perdonami e portami a Parigi. Fammi toccare il letto di Van Gogh, e i capelli di Tina Modotti. Portami in braccio fino in Patagonia, e non scomodare Chatwin.

Una fila di amici davanti al mio letto, e nemmeno un pidocchio di nemico: cazzo, meglio di Berlinguer.

Delirante sogno di fuga, e non so deandrè, gli amici fragili li accarezzo perché sono veri di ossa e sangue. Nessun dolore borghese da espiare, no, io sono uno straccio di vicolo mezzo avvizzito. Embè? Toccami e ti darò quel che vuoi, una frase, un bacio, un progetto per sognare. Chiamami.

Parole, parole consumate senza luci naturali, vengono fuori come zampilli d’amore che piangono davanti agli occhi di Tiziana, ragazzina nomade che vaga da due anni nei boschi piatti di una Roma stiracchiata e lontana.

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