Mio padre non aveva parole in bocca.
Nei suoi occhi guizzi d’intuizioni, senza parole. Ne possedeva poche di parole,
invece tante espressioni dialettali che facevano sorridere o inorridire, a
seconda del tempo o delle persone che aveva davanti. Nessun libro letto, tante
riviste divorate. A me restano parole oscure da definire e digerire. Non ho
voglia. Non ho fiato. Ora bizzarre nuvole che sfiorano i palazzoni di Roma.
Intorno trema tutto, io rimango in silenzio e aspetto le canzonette della sera.
Ho sprecato ore e ore in edificazioni
su terreni fangosi e per niente sicuri. Donne con la pancia ingolfata da
merendine e reality, con unghie splendenti, aspettano che mi sfregi la faccia
solo. Mi offrono dei bei coltelli luccicanti di griffe.
Sono un topo in trappola, nel regno
delle zoccole buone. Il gallo tiene tutti sotto controllo palpeggiando i punti
deboli di ognuno.
Sono solo sul ring, e non c’è nessuna
spugna zuppa d’acqua contro la mia faccia; e già vedo gambe in spalla scappare
senza nemmeno sporcare.
Avevo già visto, avevo già pianto.
Allora meglio rileggere le ultime del dottor Kevorkian dal tunnel celeste.
Accolgo dritte su come alleggerire la mente, poco prima dell'esplosione estiva.
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