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martedì 10 aprile 2012

mocciosi nella rete


foto di luciano d'alessandro
Faccio una pausa dal progetto: provo a scrivere una cosa che, se va bene, mi dovrebbe occupare per almeno i prossimi dieci anni. Scrivere per il tempo libero è bello, non renderlo banale e simile ai cento altri progetti in giro, questa è la sfida. Attraverso e partecipo al progetto con i miei desideri, per cavarne il meglio dal profondo del mio benessere agognato. Non è scontato. Anche se divertente. Frustrante, poiché c’è da convincere qualcuno, che pare ne sappia più di te. Sto chiedendo collaborazioni agli amici. Mi va sempre di essere circondato dagli amici, anche se magari poi alla fine, proprio allo scadere, spariscono tutti e nemmeno io me ne accorgo. Forse ho bisogno di qualcuno di cui mi possa fidare che mi aiuti a sostenere le spalle, spesso ricurve davanti all’autorità. Al capo.
Oggi rileggendo quello che ho buttato giù ieri ho capito d’averlo scritto coi piedi. Ci sto mettendo di più la testa, e anche le mani. E un po’ di cuore bambino. Diamine. Non sono mica uno sprovveduto. Eh!
Il fatto di creare, attraverso l’immaginazione di costruire spazi abitabili da mocciosi viziati e geniali, annoiati o irrequieti, mi fa sentire un piccolo boss del quartiere, deputato al tempo libero dell’infante. Caspita, solo vent’anni fa sarebbe parso azzardato ma oggi, dentro le nostre scatole di città, restano baluardi del fare. Davanti ai mostri tecnologici, se presi a grandi e uniche dosi.
Io da bambino avrei saputo gestirmi il tempo pure se la giornata fosse stata di cento ore. Anche se poi m’iscrivevo da solo alle squadre di calcio o pallamano, e lì c’erano allenatori d’affrontare a testa bassa; ma il resto era tutto in strada o davanti al porto dei pescherecci coi cani a bordo. Ma che vita facevano quei cani sette giorni su sette su quelle paranze, metà del tempo in navigazione? Chissà, magari il pescatore boss sapeva organizzargli il tempo libero tra reti, salsedine e pesciame di scarto. Chissà.

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