foto di luciano d'alessandro |
Faccio una pausa dal progetto: provo
a scrivere una cosa che, se va bene, mi dovrebbe occupare per almeno i prossimi dieci anni. Scrivere per il tempo
libero è bello, non renderlo banale e simile ai cento altri progetti in giro,
questa è la sfida. Attraverso e partecipo al progetto con i miei desideri, per
cavarne il meglio dal profondo del mio benessere agognato. Non è scontato. Anche
se divertente. Frustrante, poiché c’è da convincere qualcuno, che pare ne
sappia più di te. Sto chiedendo collaborazioni agli amici. Mi va sempre di
essere circondato dagli amici, anche se magari poi alla fine, proprio allo
scadere, spariscono tutti e nemmeno io me ne accorgo. Forse ho bisogno di
qualcuno di cui mi possa fidare che mi aiuti a sostenere le spalle, spesso
ricurve davanti all’autorità. Al capo.
Oggi rileggendo quello che ho buttato
giù ieri ho capito d’averlo scritto coi piedi. Ci sto mettendo di più la testa,
e anche le mani. E un po’ di cuore bambino. Diamine. Non sono mica uno
sprovveduto. Eh!
Il fatto di creare, attraverso l’immaginazione
di costruire spazi abitabili da mocciosi viziati e geniali, annoiati o
irrequieti, mi fa sentire un piccolo boss del quartiere, deputato al tempo
libero dell’infante. Caspita, solo vent’anni fa sarebbe parso azzardato ma
oggi, dentro le nostre scatole di città, restano baluardi del fare. Davanti ai
mostri tecnologici, se presi a grandi e uniche dosi.
Io da bambino avrei saputo gestirmi
il tempo pure se la giornata fosse stata di cento ore. Anche se poi m’iscrivevo
da solo alle squadre di calcio o pallamano, e lì c’erano allenatori d’affrontare
a testa bassa; ma il resto era tutto in strada o davanti al porto dei
pescherecci coi cani a bordo. Ma che vita facevano quei cani sette giorni su
sette su quelle paranze, metà del tempo in navigazione? Chissà, magari il
pescatore boss sapeva organizzargli il tempo libero tra reti, salsedine e
pesciame di scarto. Chissà.
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