Lampada realizzata da Claudio Muolo. “la bambina che imparò a volare”
Quattro facce che si specchiano tra i
volumi oscuri; una luce che proviene dal fondo e che da le spalle a Luciano.
Lui, dal contorno irrequieto e con parole tenere, ci fa sedere. Le sedie non le
ricordo più, neppure le piastrelle né i marmi, o i davanzali. Quella musica
classica che sorprende come un amico ritrovato, me la ricordo ancora; ci
acquietava sulle sedie, accanto alle storie ancora da esprimere con la luce,
che miagolavano timide qualche sentimento. La grigia luce di Firenze, e delle
sue strade. Beh, un po’ ci rimasi male per tutto quel grigio. Poi però certe
mattine sbattevi contro il battistero e svenivi di bellezza. E cadevi in quelle
fiaschetterie strette di persone paonazze di ribollite. Non c’era mai vento in
quella città. Luciano ci accomodava dentro la sua liturgia di luci e ombre, di
bianchi e neri, di storie e sogni. A me le orecchie non bastavano più, e gli
occhi non ce la facevano a contenere tutte quelle immagini. La bocca rimaneva
spalancata fino alla notte. Restavano solo le mani sudate d’emozioni a prendere
un po’ d’aria per non soffocare sul più bello. Le parole di Luciano coloravano
i racconti, poi con stile le stendeva con cura sul tavolo; ne aveva per tutti, non
si risparmiava mai. Alzava le lenti e capiva tutto, suggerendo le foto da
salvare tra le troppe dei provini, e poi i negativi d’affogare nell’acido in
attesa di una lenta rinascita inaspettata. Anche se a volte, di colpo,
scompariva nel suo pozzo e ci lasciava soli nel chiostro a cercare le ultime
margherite della stagione. L’indomani tornava ancora a farci intendere che sul
limitare dei nostri difetti c’è il confine dalle nostre capacità. Così da
provocare tutte le illusioni possibili, che si mettevano a ballare sopra le
nostre teste, ma che restavano alla larga da quella di Luciano: mi sa che
avesse una qualche protezione di fabbricazione tedesca, a difenderlo dalle
lusinghe caramellose del presente. Io no, stavo sempre a scartare caramelle di
tutti i gusti: dentro sorprese con le facce di Jodice, Weston, Ghirri, Fellini
e altre decine di figurine che si lasciavano desiderare.
Ora lui c’è con le sue foto nuove, a
me il piacere di non averlo scartato troppo come una caramella, e di aver
aspettato il giorno esatto per abbracciarlo. Fuori sento già il vento.
Nessun commento:
Posta un commento