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martedì 28 febbraio 2012

danza n°3 (la misura)


Dallo scorso post mi sono preso un brutto raffreddore. Sarà stata la corsa all’alba. Non ho più vent’anni, e neppure gli allenamenti nelle gambe. Eh! La misura, ci vuole misura nelle cose della vita. Quello, per eccesso di sensibilità, si è preso ‘na botta che ancora si vedono gli effetti psicologici: parla da solo lungo i viali della sua città, prima lo faceva solo di sera ora anche di giorno. Appena finisco di leggere una cosa di Pascale mi metto a ragionare come un pazzo. E no, anche là ci vuole misura e aspettare in silenzio che i messaggi arrivino alla mente, mica solo al cuore o alla gola. Ecco, devo imparare a far decantare le cose della vita e poi parlarne, usarle o distruggerle, magari salvando qualcosa. Sì, farò così, perché bisogna sempre trarne qualcosa dall’esperienza e, soprattutto, non si possono scocciare le persone a prima mattina e stare a tremila. Almeno falle svegliare, falle prendere i fili del giorno in mano; che tu stai già dentro al rame quando lei voleva rimanere alla guaina. In fondo il giorno viene fuori anche per spazzare via il troppo profondo che ci rapisce la notte, e anche il troppo rame che conduce i nostri pensieri nei dolci e improvvisi meandri dell’anima nera, quella più vera e che somiglia un po’ all’andamento stanco e dignitoso delle donne rom, ai bordi delle strade scassate. Va bene così?
Un frullatore mi sento, e dentro tutti i frutti che colgo come un forsennato dalle mie piante coi rami fragili e malaticci: recidili quelli prossimi a schiattare, funziona così in botanica. Eppure a Roma, nel 2012, dentro a giornate vorticose di niente:  casa, pc, letture, caffè in abbondanza, tweet peace&love, e la lavatrice da stendere. Un ricamo difficile e dagli esiti incerti. Legami sottili che s’ingrossano di colpo e sorprendono. Un susseguirsi – se non usavo ‘sta parola morivo oggi – di pensieri tra ieri e ora che tolgono il fiato, e un po’ anche la ragione. La misura, appunto. Che stupido finale a effetto, la scrittrice di Bari me lo segnerebbe con la penna rossa. Tant’è, con gli effetti miei ci faccio quel che mi pare.

Ho ascoltato questa canzone dei Marlene milioni di volte negli anni ’90; può competere con gli ascolti solo con “Amsterdam”, e, forse, con “Del mondo”, o giù di lì. Le due ultime righe di nostalgia sono dedicate a Ettore.

1 commento:

jimmyjazz ha detto...

Ettore (ed un'altra persona che non posso dire) ringrazia(no).