Sembro più di quanto non sia, c’è
poco da fare, anima mia, è così.
Però vedo cose visionarie e
promettenti, come a volte sembra un certo
passato che mi segue discreto. Come quella volta appena entrati, due
giovani con la pelle tirata e liscia, in una casa di studenti salentini; appena
dopo aver pagato caparre e affitti al capo studente, chiusa la porta, i due
corpi si sono levigati fino alle rifiniture. Non c’era tempo che teneva,
discrezione che frenava: quei corpi volevano morbidezze di panna. Da lì a poco
ricompare il capo studente che, accortosi del momento solenne, abbassa il capo
e torna a studiare economie inutili, almeno a loro due, che sprecano ogni
risorsa e risparmio sul campo.
No, non pensate a Klimt, no, vedete
piuttosto quella scena del Decameron, dove esili corpi si accucciano dopo i
tuoni e fulmini che sfondano la scena di pioggia.
Le caramelle le hanno mangiate tutte,
e le dita le hanno leccate bene, ora è cielo aperto da tuonare per tornare ad
amare. E lasciate stare le canzoni col fiato corto, immaginate certe acidità di
Nico e dei maledetti coi capelli corti.
A che punto siamo? Quale punto ancora
toccare, smuovere, per colorare visioni cerebrali da immolare per la causa dell’onestà
prima di tutto?
Non saprei, ditemele voi.
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