Smuovo le immagini che mi afflosciano
su questo divano duro. Alcune mi fanno maramao, e son quelle stronze di ieri:
quelle col vestitino di velluto che parlano di politica, rivoluzioni,
resurrezioni. Maledette sorelle. Poi ci sono quelle che puzzano di mela
grattugiata e mi fanno dondolare con i pantaloncini corti sopra gli scogli
morbidi dell’infanzia. Ah, quelle indiavolate di donne arrabbiate e sole che mi
rincorrono dietro come lo si fa per un ladro bello. E poi altre quadrate e
regolari che mi spiegano come funziona la vita da queste parti. Mi dimeno e cerco di
addormentarmi. Non riesco a vedere immagini reali e quiete; solo movimenti
pericolosi fermi all’avvio: aspettano urla e ordini per abbattere le cellule
ribelli che stanno in piedi a difendere lo status quo. All’improvviso una luce
violenta di sangue e muco prepara il terreno alla resa quotidiana.
Intorno come tanti paperini
arrabbiati ci sono i miei oggetti soliti: ciabatte, cappelli, riviste vecchie e
tazzine sporche. Aspetto un supereroe attillato di sé che mi prenda in braccio
e mi sbatta fuori dalla realtà. Così ruzzolare fino a te, fino all’inizio, e fino
alla pagina vuota ma ormai unta che mi aspetta.
Guardo le scarpe di Minni e me ne
innamoro subito. Ha gusto questa topa d’altri tempi, penso, e mentre lo faccio
mi aggrappo alle ringhiere del mio tempo. Sbircio lo sbirciabile e anche
stavolta rimando il grande salto.
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