Si era accorto di somigliare alla
madre molto più di quanto potesse suggerirgli un qualsiasi dio del caso; uno
squarcio profondo tra gli occhi e la gola. Da lì tutto passa e ripulisce o, nei
peggiori dei casi, inquina, il brodo vitale che serpeggia nella testa. Già, è
proprio lì che c’è la somiglianza svelata.
Quelle parole che pronuncia con
sforzo intellettuale, scalciando deliri incombenti, appaiano flebili davanti
alla storia. Agli altri. Questo vale solo per alcune volte. Oggi no, perché oggi
ha detto quello che, come scheggia irrefrenabile, sta attraversando l’intero
suo corpo in questo periodo. Culo compreso, quindi, quello che ha dichiarato, è
tutto autentico. Magari alcune cose troppo personali e quindi un po’ enigmatiche,
ma che fa, e l’altro che ci sta a fare se non per ascoltare?
Sullo sfondo una città gigante di
persone indaffarate. Priorità decantate. Urgenze manifeste. Lui seduto su
quella sedia di plastica e ferro a dire cosa è successo. A lui. Certo, solo a
lui, in questi tre mesi d’isolamento. Chiuso. In una stanza piena di bimbi e
vuota di aspettative. Una morte inutile.
Non ha letto un cazzo di David Foster
Wallace, ma il suo cappio pieno di libri, con le innumerevoli traduzioni,
invece, è carico d’aspettative.
Capisce,mi sussurra, l’imbestialimento
di Dino Campana quando quei poetacci del caffè gli persero il manoscritto. Ché aveva
percorso i trentacinque kilometri con lui, Marradi Firenze, con tutte le attese
magiche del caso. Lui lo sapeva, solo lui; gli altri un po’ meno.
Ecco, oggi questo mi vuole
raccontare.
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