Altro che avorio mi dice, era un
tozzo nero. Il vestito come fantoccio stava ancora integro a coprire le ossa
fredde e umide. Altro non vuole raccontarmi. Dice che il resto lo tiene con sé,
e vuole portarselo dietro anche come monito quando, in maniera ridicola,
maledice i giorni che gli hanno dato da vivere. Lasciamo stare, dice ancora. Hai
visto che aria frizzante di novembre che punge la finestra sul giardino?
Ha rinunciato al “concerto dell’anno”,
ha evitato di vivere una giornata piena in campagna, agli amici del fine
settimana. Sente un peso leggero che si muove nella sua testa, che lo fa
pendere all’improvviso verso una rabbia nera che nemmeno l’ira di dio; poi,
certe volte, una gioia come pioggerellina che invade la sua andatura veloce e
la rende dolce e affabile.
Questo mi ha detto stanotte tra un
sogno e un risveglio violento; ora vuole riposare e pensare. Lasciatelo stare,
tornerà presto.
Vuole invitarvi ad ascoltare questa
canzone che ieri in macchina l’ha accompagnato, tra nebbie e ciminiere, verso
quella visione che resterà dentro di sé per l’eterno presente. O forse no,
meglio non sbilanciarsi troppo, conclude.
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