Durante il dormiveglia ho fatto
pulizie: differenziando tutti. I tormenti del lavoro dagli amici qualunquisti;
le angosce per il futuro dalla povertà che mi schiaccia al muro grigio della
realtà. Dai parenti serpenti alle infinite facce amiche-nemiche che vedo tutti
i giorni.
Un tono, darsi un tono nuovo. Questa è
la mia rivoluzione, perché in fondo, in fondo, credo di essere persona capace
di darsi un tono e sfoderare l’arma della sincerità.
Così li schianto tutti a terra una
volta per tutte (ma chi?). Pensavo, ma ero ancora a letto, dove è facile fare
il supereroe de’ noantri. Poi, trasalendo e correndo per le scale mi sono
accorto che era proprio tardi, e in più che non basta sentirsi forti per
vincere le frustrazioni che colorano le belle giornate di questi mesi corti di
miccia e lunghi di stress. No. Devo continuare a leggere Coetzee oggi, poiché la
sua Elizabeth vale almeno quanto tutte le parole di certi amici che ho, bisogna
ammetterlo. Nel senso che, volendo, mi sa dire più e meglio quali cose non fare,
non vedere, di tante belle persone che continuano a vedermi in un modo e non
capiscono che quel modo non esiste più. È morto; meglio morto il modo che io,
non c’è dubbio.
Il tono, sì, oggi serve un tono
diverso: deciso e forte come l’odore dell’autunno in montagna. Come un bambino
che di colpo, in un giorno qualunque di settembre, cambia il timbro della voce.
E tutti si spaventano e nel farlo gli regalano l’ennesimo balocco.
A me regalate quintalate di libri; e
un dolce week end a Parigi.
…D’altra parte,
non crede più tanto nel credere. Le cose possono essere vere, pensa ora, anche
se uno non ci crede, e viceversa. Credere, in definitiva, potrebbe non essere
altro che una fonte di energia, una specie di batteria che si attacca a un’idea
per farla funzionare. Come succede quando si scrive e si crede a qualunque cosa
si debba credere per poter andare avanti.
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