Quante canzoni che hai scritto. Belle,
corte, strambe e serie. Non ti stanchi di giocare con le parole aggrovigliate
ai sentimenti. Veri o falsi, che differenza fa? Senti di stare dentro un palco
immaginario fatto di facce e donne. Tu al centro, defilato nel centro che canti
ignorando il registro. Il mondo. Poi disprezzi la massa, ma non le persone, e
tutto quello che gli sta intorno. Mi fai pensare a Parise, e al suo male che prende
forma e odore di sangue, ma che resta, nonostante il dolore, cittadino saldo
alle regole e alla pedagogia minima. Necessaria, per poter esser liberi di
prendere treni a qualsiasi ora del giorno, e con chiunque.
Capisci madame, qui si è dentro una
piccola storia colorata dai giorni monotoni e da splendide solitudini. Come fare
a non morire la domenica mattina, senza giornali né pastarelle fresche di
crema?
Come fare?
Poi stare sempre ad aspettare la notte,
con l’infantile paura di esser preso a botte dalle tue stesse mani. Povere mani
costrette a graffiare chitarre e donne. Sempre quelle, che vogliono amarti fin
dentro le ossa. Per poi scappare via, come ladre scivolose dentro corridoi bui
e allungati fino al mattino.
Ora aspettiamo l’ennesimo disco, il
solito e fantastico scorcio di parole melodiose che dipingono un po’ anche i
nostri giorni: ascolti, tra i pochi, che mi fanno sentire contemporaneo dei
miei sentimenti.
Non siamo al tramonto è che ho da
lavorare, da lavorare davvero.
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