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martedì 8 marzo 2011

Intervista ad Antonio Pascale. Per chiudere il cerchio degli ultimi post

Peppe Stamegna intervista Antonio Pascale. Settembre 2009

La lettura del racconto "Stai serena" mi ha turbato. La scrittura di Pascale regge su di un equilibrio che non è solo formale, ma che è soprattutto sostanziale: seppur asciutti i sentimenti sono espressi all'ennesima potenza. Rivelano contemporaneamente il lato oscuro delle faccende interiori e i loro risvolti sulla quotidianità dei personaggi. Ne viene fuori un’intensità di scrittura che non fa sobbalzare ma tiene incollati alle pagine quasi con la paura che volino via. Che scompaiano per sempre. Così tutto viene trattenuto visceralmente e alla fine del racconto ogni sentimento reclama spiegazioni.
Pensavo ai mal di pancia procurati dall'articolo di Citati e al conseguente liberatorio "Scienza e Sentimento". Di come un libro possa rimanere analitico seppur il suo autore dichiari subito i suoi dolori per come viene trattato l'argomento dai letterati puri.

Peppe Stamegna: Quale forza contiene la sua scrittura? e come riesce a gestirla davanti agli impeti delle emozioni?

Antonio Pascale:Tutto (almeno nella mia testa) poggia sull’idea di saggio personale. Un genere parecchio frequentato nei paesi anglofoni. Invece di ragionare su tesi a partire da altre tesi, si racconta una propria esperienza e dopo si prova a ragionare sui risultati. Prima si vive poi si pensa. Il saggio personale ha una matrice nobile: i dialoghi filosofici. Quelli di Platone avevano tre caratteristiche che mi piacerebbe continuare a utilizzare. a): erano antiretorici. Il Protagora inizia così: da dove vieni Socrate? Si fa uso di canoni orali. b) si sostituisce l’azione drammatica con la riflessione attorno a una questione. c) c’è il tentativo di coinvolgere il lettore nella discussione, dunque, spesso sono saggi “aperti”. A differenza dei dialoghi che vedevano personaggi peculiari alle tesi dibattute, quello personale sostituisce ai personaggi la figura dell’autore stesso. Naturalmente non sto teorizzando la superiorità del saggio sul romanzo o questioni simili. Quando si inventa un personaggio all’altezza dei tempi, il romanzo procede a meraviglia, ma quando questo personaggio non appare (come nel mio caso), si può usare questo genere. Ha dignità letteraria insomma.


P. S.: Leggendo il suo libro ho capito che le mie convinzioni sul biologico poggiavano su miti consolatori. Sarebbe interessante a questo punto veder uscire fuori dalla melma retorica i fautori del biologico e innescare un dibattito costruttivo. Le è successo in questi mesi?


A.P. No. La questione “biologico” per essere affrontare purtroppo richiede competenze agronomiche. E’ difficile far capire che quei prodotti coltivati seguendo i dettami del biologico sono gli stessi che coltiviamo nell’agricoltura convenzionale. Vengono dagli stessi laboratori di genetica e tranne qualche sfumature vengono lavorati con gli stessi metodi agronomici. Ma chi coltiva biologico ha una forte matrice religiosa, pagana. Crede alla madre terra e cose di questo genere. Quindi per un laico come me è dura discutere di religione. L’unica soluzione è quella dello Stato laico, capace di discutere caso per caso, legiferare buone norme che permettono di fare un buon biologico e una buona agricoltura convenzionale. Abbiamo bisogno sia della produzione di massa, che si ottiene grazie all’agricoltura intensiva, sia dei lussi, che si ottengono con la produzione biologica.

P.S. Ho partecipato all'incontro che c'è stato a piazza Navona tra lei e Sebaste. A un certo punto lei ha tirato fuori un discorso su Pasolini contrapponendolo a Parise. La poesia urlata e la poesia silenziosa. Negli anni anche per me ha prevalso la seconda seppur all'inizio non c'era partita. Poi "l'odore del sangue" e i Sillabari hanno schiacciato in un angolo "i ragazzi di vita" e tutto l'armamentario ideologico che ne è derivato. Poi il fatto che "l'odore del sangue" terminava proprio in piazza del popolo facendo emergere una città livida sotto i colpi di una generazione violenta ha chiuso il cerchio del ragionamento. Almeno il mio. Non trova che Pasolini sia invecchiato di colpo e Parise invece appaia fresco e pronto a raccontarci un'altra storia?


A.P. Sì, chiedo naturalmente tutte le attenuanti per la dichiarazione che sto per fare: non trovo Pasolini così interessante. Parise è inquieto, parla di sentimenti senza essere sentimentale è civile senza usare la retorica dell’indignazione. Parise è moderno, Pasolini fa uso del sapere nostalgico (tutto quello che è avvenuto nel passato ha valore, tutto quello che è presente è corruzione). Siccome il sapere nostalgico va di moda, Pasolini non tramonterà mai.


P.S. I suoi racconti hanno ospitato tanti personaggi, anche molto differenti tra loro. Fino a che punto appartengono a spunti autobiografici?


A:P. Generalmente invento. Ma, in fondo, scrivo, perché credo di aver vissuto esperienze interessanti. Come diceva Carmelo Bene, ogni autobiografica è falsa.


P.S. Il suo considerarsi un letterato impuro è una difesa o una maniera per sentirsi più svincolato e quindi libero da scuole o congreghe letterarie varie? o cosa?


A.P. Semplicemente non nutro fiducia della narrativa, al contrario ho molta fiducia del ruolo dell’intellettuale. L’intellettuale è quella persona capace di creare connessioni e fornire orientamenti, più curioso è, più è capace di integrare i saperi, meglio lavora. 



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