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giovedì 10 febbraio 2011

Bobo Rondelli - Licantropi

Stavolta avevo meno aspettative. Andare al concerto è stato più un’occasione per incontrare amici, che non una voglia di ascoltare musica. Invece l’ascolto dello spettacolo di Bobo Rondelli, mi ha scatenato un’infinita gamma di emozioni. Come sempre mi sono commosso davanti a “Shangai…”, “alla Marmellata…” “Gigi balla”; poi anche risate, qualche pensiero malinconico sul tempo che scappa, e infine un po’ di rabbia: quando l’artista si dimena a fare il clown e cosi va a mortificare le proprie canzoni, facendosi burla della sua verve sentimentale. Insomma, va bene tra un pezzo e l’altro raccontare cose strambe e divertenti, ma quando canta, Bobo dovrebbe farsi imprigionare dal demone della poesia. Tanto c’è, è inutile che tenti di scacciarlo via, quello emerge e lo accompagna attraverso il suo cantato perfetto, e con tutta la scia di sentimenti che si dissolvono lentamente al termine dell’esecuzione.
Mi ha fatto piacere vedere Filippo Gatti seduto tra gli orchestrali, che silenziosamente dirige verso suoni armoniosi e compatti. Fa piacere rivedere personaggi che ci hanno accompagnato in questi anni, e nell’osservarli capisci che il loro valore aumenta a vista d’occhio….
Le nuove canzoni presentate da Rondelli sanno di poesia masticata con la bocca aperta al mondo: Loi e Caproni gli ispiratori, che finiti dentro le sue canzoni diventano linfa dai colori malinconici. Ma quanta vita esprime Bobo? nel suo aspetto trasandato, e un po’ ingrassato, s’intravede una gran voglia di giocare con i giorni a venire. Noi lì davanti alla transenna pressati dall’urgenza di annusare e prendere tutta l’energia che c’è.
Così la serata finisce e mi trova seduto a fare il narratore ironico: gli amici che mi abbandonano per buoni motivi. Gli altri che si sentono in dovere di bere ancora una birra con me. Claudio che mi ringrazia... E altri ancora con la voglia di mostrarmi il piacere di aver condiviso bellezza e vita, in una serata pungente che sa di cinema d’essai dentro a un giardino ghiacciato e accogliente.
A me tutto questo fa tremare le gambe. Mi raddrizzo solo dopo aver capito che intorno c’è affetto, e che per prenderlo ci vuole Arte e pazienza.
Magari alla fine mi prendo in giro per il mio egocentrismo bambino, che avvolge la mia faccia, e costringe le mie mani a gesticolare per disegnare storie altrimenti abbandonate dentro la testa, e in questo misero blog invernale.
E so contento!...

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