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domenica 20 febbraio 2011

allo scadere


Davanti ai quadri di pennellate nervose e luminose, J. si agitava e sorrideva, come un gatto davanti a un laghetto pieno di pesci rossi. Guardare i dipinti in fila indiana, tra facce capricciose e annoiate, da domenica pomeriggio elegante e ozioso di niente, non mi ha fatto godere a dovere. Poi, tra permanenti e lenti, mi elettrizzo davanti ai cipressi che sembrano scuotersi, alla faccia dell’aria satura e viziata del salone del Vittoriano. Non importa, erano anni che ti aspettavo, Van Gogh, e oggi proprio allo scadere sono venuto a vedere i quadri che da anni sono dentro gli occhi miei.
Evitando le scorciatoie retoriche, e forse non riuscendoci comunque, mi va di dire che alcuni suoi quadri sono universali. Escono con leggerezza da ogni antologia; si bloccano e scappano quando intravedono correnti. Esprimono un tempo proprio, che forse è quello viscerale e infantile, del sogno coniugato al presente.
I luoghi e i ritratti sono anche cartoline dei nostri giorni, ma la passione e le emozioni che contengono stanno solo dove riescono a trovare ospitalità: che nella notte, e in certi pomeriggi di scirocco, esplodono nelle nostre teste come schegge d’innocenza violata. Dall’estrema solitudine che chiama le nostre paure al riparo, e così facendo ingabbia ogni fuga. Restano le nostre facce sbigottite che si specchiano nei tuoi malinconici autoritratti.


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