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mercoledì 5 gennaio 2011

il dolce inganno delle strade romane

Camminavo su e giù per via Nazionale. Sapevo cosa cercavo, ma non volevo ammetterlo. Almeno non allora. Le librerie urlavano la loro attrattiva su di me. La bella modella nel suo portamento regale posava seduta al tavolino di piazza della Repubblica, solo per me. La mia faccia riflessa sul blindato della polizia spariva in un attimo, mentre era attraversata da un pullman su due piani.

La letteratura italiana contemporanea poggiava incustodita sugli scaffali di legno color pino: nessun libro voleva entrare nella mia tasca.

Volevo vedere la sua faccia malinconica e persa. Volevo scappare dalla mia faccia triste e correre come da bambino su via XX Settembre; aspettare una contro risposta - solo dopo aver evitato le guardie alle istituzioni - e ricevere un abbraccio che fosse anche un placcaggio. Due braccia complici di due begli occhi neri che prendano in consegna il mio corpo decrepito dal troppo pensare, dal troppo correre verso il nulla delle strade romane. Da sempre queste strade fintamente mi accolgono. M’illudo sempre, poi una volta in auto o in treno, precipito in una malinconia che è pari solo a quella di Baudelaire, con tutto lo Spleen di Parigi. Che io credo di intuire ma come al solito resto davanti alla superficie delle copertine più belle dei libri che ho amato, e poi abbandonato in mani e cuori più attenti dei miei.

Inutile scacciare le velleità: per loro natura ritornano a volteggiare come corvi impazziti sopra la mia testa, in un mattino afoso di Luglio, poco prima di precipitare nel giorno più duro della mia storia.

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