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lunedì 9 marzo 2015

mio figlio dal ciuffo immobile

     Mi sono iscritto al primo superiore. Sì, sul sito del Miur hanno preso la domanda di mio figlio col mio nome. Il resto dei dati sono i suoi, ma il nome è mio. Dirai: lo soffochi, lo stressi, non gli permetti di sbocciare d’identità. Ehi, non esagerare, un po’ è vero ma mica sono così matto da schiacciare fino a questo punto la sua bella e acerba identità. E’ stata una falla online. Però in questi giorni di incazzature feroci sto scoprendo, e quando succede mi viene quasi da piangere, di come gli sto volendo sempre più bene a questo ragazzo oramai alto quanto me, e di come sta aumentando questo sentimento proprio mentre lui si stacca piano piano da noi. Eccolo coi suoi capelli dal ciuffo immobile, e quelle sue mani fulminee, e quel suo passo incerto tra montagnole e catrame del suo amato quartiere: dove al tramonto si intravede il cupolone, laggiù, come fosse una quinta consolante in miniatura per noi oltre raccordo. Quando deve farsi notare ha certi buffi movimenti di scatto: sembra un attore, fa bene l’attore, il mio ragazzo dal ciuffo immobile. 

   Si muove svelto col suo carico di giovinezza: a volte ci sembra triste, altre troppo serio, poi in fondo magari sta cercando soltanto il suo stile, come ogni persona sensibile su questa terra. E ride di gusto davanti a quei video su YouTube, e scava in quel tubo per me misterioso alla ricerca di specchi suoi, soltanto suoi, e noi esclusi aspettiamo che ritorni cresciuto, col suo sorriso pieno di denti che assomiglia a una canzone.

    Mannaggia a me, e ai miei mille egoismi adulti. Perché non gli ho risparmiato quando era piccolino mille traslochi e quintali d’ansia. Lui se ne stava tra di noi con quegli occhi a fissare lunghe banchine di metro, giganteschi alberi nei parchi romani, persone curiose o sole, ed io tremante con la faccia contorta a evitargli di vedere le mie fragilità; ma meno male c’era la faccia serena e decisa di tua madre ad asciugare ogni paura. Ma quante rabbie e frustrazioni passavano lo stesso, sai; poi passavano anche parenti ottusi e amici fuggevoli, che c’entra. Passava tutto. Ce ne stavamo su quel marciapiede di domenica, e intorno a noi invisibili puzze sulfuree ad assorbire i nostri sguardi, per confonderli; poi sorridere all’improvviso è sempre stata un’arte per noi. D’estate in giro con la tenda insieme agli artisti di strada, e gli amici intorno, noi eccitati, loro perplessi. Tua madre con le gonne lunghe da zingara, e gli altri che non capivano quel nostro accanimento a voler muoverci come fossimo ancora persone come loro; adesso che loro ci sembrano piccole sette famigliari - guai chiamarli durante i pranzi domenicali - non sanno che mortificano un po’ il nostro spassoso passato comune. Beati loro. Noi restiamo così allegri ma serissimi, nonostante siamo diventati insieme famiglia e persone, restando belli e soli. Alle ortiche ogni rancore stanotte.

Quel giorno con tua madre sdraiati sulla spiaggia bianca di notte, il mondo là seduto silenzioso e blu - bloccato come in una foto con la posa b - mentre noi stiamo per iniziare l’amore salato: un disgelo che sappiamo solo noi e la nostra antica tenerezza.


Facciamo che mi sono iscritto al primo superiore, sì, perché vorrei ricominciare da zero con i pensieri teneri e luminosi di questi anni, ché quelli di ieri erano di seconda mano, angosciosi, dolci e poco più. Andrea, sai che reportage ne uscirebbe? Me ne starei con la vita esplosa nelle tasche a far dimenticare il dolore con le mie inutili storie: raccontandole una a una senza far rumore. Come bloccate in una foto.





1 commento:

Capitan vongola ha detto...

Quanto é amabile quel ragazzo che descrivi! ...e si...sarebbe interessante ricominciare daccapo, ma meglio di così non verremmo, siamo perfettamente perfettissimi...sicuramente ti verrei a cercare nei nostri 15 anni ribelli....