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sabato 28 giugno 2014

Amo Carmen

Dal quarto piano del teatro dell’Opera di Roma, seduto al buio con il mio Amore accanto, e con quell’aria condizionata che non capivo da quale barocco anfratto provenisse, osservavo la Carmen, minuscola laggiù, dentro una luce azzeccata, malinconica e finta. Come la vita.
L’indomani a pranzo un’impepata di cozze, e una falanghina fredda e discorsi sul perché siamo così, perché? dice il mio Amore - con la sua tenerezza invendibile su eBay-  siamo riusciti ad arrivare a oggi, e alla nostra libertà, senza sfanculare intere famiglie assurde e lontane anni luce dalla nostra sensibilità? Eh, perché? Ma chissenefrega, oggi, tanto la falanghina scendeva bene lo stesso e le parole le correvano dietro meglio di tante altre volte: un capolavoro che non vedrà mai la luce, i nostri discorsi onesti che finiscono sempre sulla sabbia delle nostre paure: Amore allora ci abbraccia e ci riduce ad amarci.
Poi leggo tanto, senza costrutto, e spio i miei miti d’oggi, senza scomodare Barthes, ma cliccando twitter, e blog sconosciuti ai più. Son fatto così, mi accontento di una impepata di cozze, della falanghina e di mille rivoli di frasi mozzate dall’amore.

Amo Carmen, e la sua morte di ieri è soltanto una frase d’amore mozzata male sul finale.


lunedì 16 giugno 2014

Antonio e il suo giugno

Le giornate di giugno parevano deserte nel loro avanzare di debiti e vacanze da rinunciare. Antonio al risveglio leggeva con gli occhi gonfi Diario di scuola, nel pomeriggio Marcovaldo, e la notte, con gli occhi in allerta per il giorno che andava a spegnersi, Skillig. Aveva questo pensiero gommoso che la sua vita fosse appesa ai libri, e intanto i figli, la moglie, e i pochi amici con cui chiacchierare, stavano nei loro letti, al riparo dai guai: impotenti per lui. Un esercito di amarezze avanzava in quel giugno, ma il caldo improvviso almeno aveva sciolto una delusione indicibile, e che per fortuna i temporali erano riusciti a farla scordare. Come sempre le delusioni nella sua testa diventavano minuscole possibilità. Fughe. Così era riuscito ad arrivare anche a questo giugno: ancora sorridente nonostante una schiacciante riunione condominiale. Anche dopo i debiti, o i rancori vivi come alici nelle reti, e le discussioni aperte con dei vecchi amici degli anni novanta, che somigliavano ai libri difficili sui comodini. Metti pure le telefonate che non squillavano mai e le risposte ai tweet attesi al mattino come certi amici d’estate, durante l’infanzia. Tutto avanzava come un brutto libeccio, e non c’erano più scogliere a rallentarne la forza.
Non aveva colpe e non c’era vento quel giorno, permettendo all’afa di dilatare l’anima - come scrive su tastiera vellutata Vittoria, e l’anima di Antonio era così zeppa di desideri e rabbie invernali, slabbrata, che somigliava a un aquilone in soffitta. E il vino bianco, quello fresco che scende in gola dopo la patatina alla paprika, era lì solitario ad aspettarlo in un locale del Pigneto, pieno e desolato di ragazze ancora più vogliose di lui: dopo un inverno ad ammuffire in un bilocale, da dividere con quattro sconosciute, che avevano quelle finestre che davano sul muro di cavi elettrici bianchi.
Quel giugno se lo sarebbe ricordato come sempre per le occasioni perse, le cene rimandate e quelle obbligate. Finalmente arrivano i sorrisi eccitati dei figli davanti al televisore giallo e verde di palloni, come sola novità estiva, diventavano un beato appiglio infantile per strozzare il suo silenzio. La moglie sdraiata sul divano nero, col suo vestitino leggero leggero come una piuma, era un po’in disparte come se avesse bisogno di altro spazio per i suoi pensieri infiniti.

Continua...

Scritto da Antonio Anonimo per la Collana "Data in pegno". Editore Velleità