Guardatelo quanto è bello questo
ragazzo che scrive per me, instancabile, dentro questo verde blog. Sì, lui mi
comanda spingendo le mie parole verso un vuoto magico. Tra quelli che sono
arrivati a questa terza riga, chiedo, sul serio, se sanno di cosa sto vaneggiando,
se un po’ almeno lo immaginano.
Lavoravo in una casa famiglia per minori del Tetto azzurro, impaziente
di scapparne il prima possibile. Come prima di entrare in turno il sabato sera,
percorrendo viale Regina Margherita con le macchine festanti che sfioravano la
mia angoscia, in quei momenti mi compariva l’immagine di mia moglie con nostro
figlio appena nato nella culla, a casa, a trenta minuti di distanza da me,
allora, per evitare il crollo psichico, quasi mi abbracciavo il semaforo rosso
pieno di adesivi svuoto-cantine. Ma in quel posto c’era anche una cosa più
pesante da sopportare; un educatore sardo-milanese, comunista, di quelli che
frequentano nicchie di eletti e vogliono convincerti, sussurrandotelo durante
il turno notturno, di come arrivare al potere senza spargimento di sangue.
Infatti.
Ci fu una riunione urgente convocata dai capi, dopo una nostra (scritta
da me) dura lettera sindacale indirizzata alla Provincia. Eravamo pochi i
presenti attaccabili. Ci fecero neri. Io mi difesi con la morte dentro,
urlandogli contro il mio disprezzo, e una mora psicologa freudiana mi disse: ma
quando impari a trattenerti? Morii all’istante, la mia candida rivalsa
solitaria. Lui, il comunista praticante, si presentò soltanto alla fine della
riunione col casco sottobraccio, mentre stavamo sfiniti e bastonati davanti
alla macchinetta a prendere un caffè amaro. Da lì a sei mesi lui divenne il
coordinatore. Mentre io cominciavo a lottare contro gli attacchi di panico. Eppure,
solo qualche mese prima mi arrivò una soffiata del segretario: stavo nei piani
dei capi psicologi come prossimo coordinatore. Il giorno dopo m’iscrissi al
sindacato. Il resto l’ho già raccontato.
Oggi il ragazzo che batte i tasti neri
coi caratteri bianchi vuole capire il perché
tragico che si annidò in quella scelta, e lo fa senza giudicarmi, poco prima
di abbracciarmi.